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    ISRAELE

    Il piano di Trump segna la vittoria di Israele

    Il consenso generale
    È davvero un passo storico il piano annunciato ieri da Trump e Netanyahu. Esso annuncia la via d’uscita dalla guerra scatenata due anni fa da Hamas con il sostegno dell’Iran, segnando una piena vittoria israeliana. Alla conferenza stampa dei due leader è rapidamente seguita una dichiarazione formale di appoggio dei maggiori stati islamici (Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Emirati, Turchia e anche il più popoloso paese musulmano del mondo, l’Indonesia e il più forte militarmente, il Pakistan). Perfino l’Autorità Palestinese ha dichiarato il suo consenso, anche se l’accordo la taglia fuori dalla gestione di Gaza fino a una riforma profonda e “reale non fatta di parole”, come ha detto Netanyahu ieri sera e cioè comprendente la “fine del pagamento degli stipendi ai terroristi, fine dell’incitamento anti-israeliano nelle scuole e nei media, fine dell’appoggio alla ‘lotta armata’, democratizzazione e fine della corruzione”. In Europa hanno approvato il piano il governo italiano (per primo), quello francese, quello inglese e diversi altri.

    Perché Israele ha vinto
    Come ha dichiarato il Segretario del gabinetto israeliano Yossi Fuchs, il 7 agosto 2025 il governo aveva stabilito cinque condizioni per porre fine alla guerra: 1. Il ritorno di tutti gli ostaggi, sia vivi che caduti. 2. Il disarmo di Hamas. 3. La smilitarizzazione della Striscia di Gaza. 4. Il controllo di sicurezza israeliano sulla Striscia di Gaza. 5. Un’amministrazione civile alternativa che non sia né Hamas né l’Autorità Palestinese. Tutte questa condizioni sono soddisfatte nel piano di Trump, certamente perché non è uscito dalla solita macchina delle trattative che funzionava cercando di far pressione su Israele per fargli accettare la condizioni di Hamas. Questa volta il processo è stato inverso: c’è stato prima l’accordo con Israele e ora Hamas ha la scelta fra accettarlo o essere completamente distrutta da Israele, con l’approvazione dell’America e senza la protezione dei suoi alleati, a parte l’Iran che in questo memento ha il suo daffare ad affrontare le nuove pesantissime sanzioni. La reazione del gruppo terrorista non è ancora nota. Il piano comunque prevede la sua realizzazione anche in caso di rifiuto di Hamas. Dall’inizio della guerra non era mai stata presentata alcuna proposta che includesse il ritorno di tutti gli ostaggi contemporaneamente, insieme al mantenimento del controllo della Striscia di Gaza da parte delle IDF e alla garanzia della sicurezza dello Stato di Israele. E per quanto riguarda l’opposizione israeliana a uno Stato palestinese, questa è soddisfatta; il piano non lo istituisce, il Presidente Trump ha dichiarato esplicitamente di rispettare la posizione israeliana. Le manovre tentate all’Onu da Francia, Gran Bretagna e altri stati sono rese completamente inutili, il premio che Hamas giustamente vi vedeva per la sua azione criminale non ci sarà. Anche la richiesta di una riforma vera dell’Autorità Palestinese, al momento impossibile, la mette fuori gioco, come Israele voleva. È poi completamente tagliata fuori e si mostra vacua e anacronistica anche tutta la mobilitazione delle sinistre pro Hamas, dalle piazze alla flottiglia. La canea anti-israeliana e antisemita continuerà probabilmente ancora per qualche tempo, ma non ha più una prospettiva di impatto reale.

    Le conseguenze sul Medio Oriente
    Trump ha molto sottolineato nel suo discorso che il piano non ambisce solo a concludere i combattimenti a Gaza, ma vuole disegnare un nuovo Medio Oriente, con collaborazioni larghe che avranno grandi effetti economici e politici sul mondo intero. Il progetto di un nuovo Medio Oriente pacifico e collaborativo fra stati che si riconoscono a vicenda senza rivendicazioni era del resto implicito nei patti di Abramo, molto citati nella conferenza stampa, e che ora saranno probabilmente nella condizione di espandersi all’Arabia Saudita e più in là “fino all’Iran” se esso cambierà regime e politica, come ha predetto Trump. Proprio contro questi patti e la pace regionale che cercava Israele era stato scatenato il 7 ottobre, con l’intento di portare tutto il mondo arabo e musulmano a combattere e distruggere Israele. Il risultato ora è l’inverso: uno schieramento di tutti i paesi della regione che accettano di stringere una pace con lo Stato ebraico e di ragionare su un futuro comune. Questa è la vittoria più influente per il futuro, perché rompe anche le strategie anti-occidentali di Cina e Russia, con conseguenze che andranno dall’Ucraina a Taiwan. Bisogna dire che questa vittoria diplomatica non sarebbe stata possibile senza le vittorie militari di Israele, senza la distruzione di Hezbollah, senza i bombardamenti che hanno disabilitato il progetto di armamento nucleare dell’Iran, senza il coraggio di sfidare il consenso internazionale e portare vittoriosamente la battaglia su Gaza, prima sull’asse Filadelfia e su Rafah, ora su Gaza City, senza anche l’incursione su Doha, che ha fallito nell’eliminare i capi di Hamas ma è riuscita a mostrare la determinazione di Israele per distruggere le minacce. Tutte queste operazioni sono state scelte imposte da Netanyahu, spesso contro il parere dei vertici della sicurezza e degli amici (o presunti tali) occidentali. Oggi è tutta sua la decisione di aderire al piano di Trump, anche in questo caso contro l’opposizione di parti del governo.

    Le reazioni in Israele
    Per arrivare a questo punto Israele ha già pagato un grande prezzo di sangue, con tutti i suoi caduti e i danni della guerra, e ne paga un altro dovendo liberare numerosi condannati per delitti di terrorismo anche sanguinosi e rinunciare a parte delle aspettative conseguenti alla vittoria, come la dichiarazione di sovranità su parti della Giudea e Samaria o la conquista definitiva di parti di Gaza che alcuni nella maggioranza volevano. L’esercito resterà a tempo indeterminato una zona cuscinetto e avrà la possibilità di intervenire se vi saranno a Gaza concentrazioni terroristiche, come già accade nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese. Ma non basta. La presenza di un’amministrazione internazionale diretta da Trump con Tony Blair e di truppe internazionali è una garanzia del processo di deradicalizzazione e di disarmo totale che è necessaria. Il piano ha soddisfatto il Likud, i partiti di riferimento degli Haredim, Gantz, Lapid, Eisenkot. Esiste una maggioranza parlamentare per sostenerlo. Sembra che Netanyahu non lo sottoporrà alla riunione di governo che si terrà questa sera dopo il suo ritorno, ma chiederà una votazione quando si metterà in pratica la liberazione degli ostaggi. Fino al momento in cui scrivo, Ben Gvir e Smotrich non hanno preso posizione. Avevano minacciato di uscire dal governo, ma non è detto che lo faranno. In silenzio sono rimasti anche gli avversari di Netanyahu che vengono da destra, innanzitutto Bennett e Lieberman. Senza dubbio se il piano si realizzerà anche la politica interna israeliana dovrà aprire una nuova pagina.

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