
La risoluzione 2803
Nella notte fra lunedì e martedì il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato con una forte maggioranza (13 sì e 2 astenuti – Russia e Cina, che in questa maniera si sono differenziati ma non hanno posto il veto) la proposta americana per l’istituzione di una “forza internazionale di stabilizzazione” a Gaza. È la risoluzione 2803, un numero che probabilmente dovremo citare a lungo, come è accaduto per le altre risoluzioni Onu che hanno posto fine alle guerre del Medio Oriente. Si tratta della sanzione internazionale alla sistemazione della Striscia prevista dal Piano Trump, che non ne cambia la sostanza, ma gli dà efficacia esecutiva politica e giuridica. Dato che si tratta di un testo importantissimo, che ha lo scopo di concludere la guerra a Gaza, è importante farsi un’idea precisa dei suoi contenuti.
La clausole
I punti principali della risoluzione sono i seguenti:
1. L’approvazione del “piano globale” di Trump, il riconoscimento dell’accettazione delle parti e l’invito a tutti di darle attuazione.
2. L’istituzione di un “Consiglio per la Pace” (che Trump intende presiedere) per gestire la ricostruzione di Gaza e i finanziamenti internazionali. Esso sarà attivo finché l’Autorità Palestinese non sarà riformata e riprenderà il controllo effettivo su Gaza. Quando ciò accadesse, si aprirebbe “un percorso realistico verso una statualità palestinese” (ma si tratta evidentemente di un futuro non prossimo o se si vuole di una concessione alla retorica dei due stati).
3. Importazione di grandi aiuti umanitari a Gaza, i quali però non dovranno finire nelle mani di “organizzazioni armate”, anche se saranno distribuiti in collaborazione con le Nazioni Unite, la Croce Rossa e altri organismi internazionali.
4. Autorizzazione al Consiglio della Pace a istituire organismi operativi per l’attuazione del piano.
che (5.) saranno finanziati dai contributi dei Paesi donatori ma anche (6.) dalla Banca Mondiale.
7. Viene istituita in coordinamento con Egitto e Israele una forza internazionale temporanea di stabilizzazione a Gaza (ISF) sotto un comando unificato deciso dal Consiglio della Pace. I suoi obiettivi saranno: a) monitorare il cessate il fuoco. b) mantenere la sicurezza e stabilizzare Gaza. c) distruggere le infrastrutture terroristiche e impedire la loro ricostruzione. d) disarmare i gruppi armati non statali (cioè Hamas e gli altri terroristi), proteggere i civili e sostenere le attività umanitarie. e) Addestrare le forze palestinesi che sono state considerate sicure (in sostanza accettate da Egitto e Israele). f) coordinamento dei corridoi umanitari.
Le forze israeliane si ritireranno gradualmente da Gaza secondo tappe concordate e secondo il procedere del disarmo dei terroristi, ma una forza militare israeliana limitata potrà rimanere a fino alla scomparsa della minaccia terroristica.
8. Il Consiglio della Pace e l’ISF sono autorizzati fino al 31 dicembre 2027, salvo proroghe che devono essere deliberate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
9. Tutti i paesi sono invitati a collaborare.
10. Il Consiglio per la Pace riferisce semestralmente al Consiglio di Sicurezza.
Il senso della decisione
È chiaro che la decisione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (che a differenza dell’Assemblea ha poteri esecutivi) è una grande vittoria per Trump, che vede approvata la sua azione più importante a livello internazionale. In Israele si discute sul suo valore. È certo che la presenza di una forza internazionale ai confini (già anticipata in questi giorni dall’istituzione di una base americana in territorio israeliano vicino a Gaza) o la menzione di un “percorso verso la statualità palestinese” sono elementi che suscitano preoccupazione e diffidenza. Ma se si considerano le clausole più operative (la 2 e la 7) si vede con chiarezza che la risoluzione conferma esattamente la vittoria israeliana, conquistata con due anni di guerra durissima. Essa contribuisce a stabilire quel “nuovo Medio Oriente” che il governo israeliano aveva stabilito come obiettivo generale. In particolare due erano le condizioni della vittoria su cui Netanyahu aveva sempre insistito: la liberazione dei rapiti (che ormai è stata quasi completamente ottenuta, tanto che è stata comunicata la cessazione delle manifestazioni relativa a questo problema); e l’eliminazione della minaccia di Hamas, attraverso il suo disarmo e la cessazione del suo controllo di Gaza, il che è esattamente il contenuto centrale della 2803.
La reazione di Hamas
Questa diagnosi è confermata dalla reazione di terroristi. Hamas ha emesso una dichiarazione in cui respinge la risoluzione affermando che essa “non soddisfa il livello delle richieste e dei diritti politici e umanitari del nostro popolo palestinese […] La risoluzione impone un meccanismo di amministrazione fiduciaria internazionale sulla Striscia di Gaza, che il nostro popolo, le sue forze e i suoi gruppi costituenti rifiutano, e impone un meccanismo volto a raggiungere gli obiettivi di Israele”. Viene soprattutto denunciata l’istituzione di una forza internazionale la cui missione include il disarmo dei terroristi, che il gruppo rifiuta tassativamente. Nel comunicato vi è una nota pesante di minaccia. Vi si dice infatti che le forze che entreranno a Gaza saranno considerate parti della guerra, cioè nemici, contro cui evidentemente Hamas cercherà di usare il terrorismo. Bisognerà dunque vedere chi vi parteciperà e con che garanzie. È importante, nella settima clausola della mozione, il diritto di veto implicitamente accordato a Israele sulla composizione della forza. Non è detto che il disarmo sia raggiunto pacificamente, né che Israele non debba ancora intervenire. Come ha detto il capo di stato maggiore Zamir, l’esercito israeliano è pronto a distruggere militarmente Hamas, se fosse necessario.
Il futuro
La risoluzione è evidentemente solo una tappa di un progetto su cui Trump ha gettato tutta la sua forza e il suo prestigio. Si tratta, come ha dichiarato, di costruire un Medio Oriente di pace: un obiettivo che senza dubbio Israele condivide. Ma il presidente americano agisce con grande spregiudicatezza per raggiungerlo. Il consenso dell’attore arabo chiave, l’Arabia Saudita, e magari anche la sua partecipazione agli Accordi di Abramo, comporta a quanto pare la vendita ai sauditi degli F35, che sono il nucleo della superiorità aerea israeliana, su cui si è basata la vittoria sull’Iran. Ciò suscita gravi preoccupazioni fra i militarti israeliani. La scelta di Putin di non porre il veto sulla risoluzione, rispetto a cui pure aveva proposto un’alternativa assai diversa, a quanto pare è condizionata a un reingresso russo nel teatro siriano, che certo non fa piacere a Israele. Insomma la vittoria non è “assoluta” nel senso di mancare di rischi o di lati preoccupanti. Ma questo è inevitabile per un piccolo Paese che ha bisogno dell’appoggio industriale, economico, diplomatico e militare degli Usa per neutralizzare l’ostilità non solo musulmana ma anche europea. La scommessa di Trump, cui Netanyahu ha deciso di aderire, è che nel “nuovo Medio Oriente” la rete degli interessi e dei legami diplomatici incentrati sull’America sarà in grado di controbilanciare le minacce di stati e movimenti “canaglia” e si consoliderà fino a consentire una pace solida.












