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    ISRAELE

    La lunga notte di Israele

    L’incubo è iniziato durante lo Shabbat, quando gli israeliani hanno cominciato a sentire il suono interrotto delle sirene seguite da boati assordanti. Anche sabato notte l’Iran ha colpito di nuovo lo Stato ebraico. Israele ha vissuto ore di panico e distruzione, tra missili e droni piombati sulle città, danneggiando case, negozi, lasciando dietro di sé vetri frantumati e famiglie in fuga. In una delle zone colpite, a Bat Yam, la testimonianza di un residente racconta con crudezza il terrore vissuto.

    “Il problema è stato vivere tutto dall’interno del bunker. A soli 300 metri da noi è stato colpito un palazzo. Un boato fortissimo. La porta del rifugio si è spalancata di colpo, ho sentito un dolore al timpano tremendo – racconta l’intervistato – Eravamo in tanti, famiglie religiose, bambini piccolissimi, anche di due mesi. Scene di disperazione. Non sapevamo cosa stesse succedendo fuori”.

    La notte è stata lunga, ma il momento più difficile è arrivato dopo. “Uscire dal bunker è stato devastante. Non potevamo immaginare cosa ci aspettasse. Quando sono arrivato a casa, non sono nemmeno riuscito ad aprire la porta: il vetro era frantumato, tre finestre esplose. Sembrava un film apocalittico”.

    Quello che emerge dai racconti è la descrizione di un quartiere in ginocchio: negozi devastati, case danneggiate, serrande a pezzi. “Mentre correvo vedevo i missili e i droni sopra la testa. Mai vissuta una cosa del genere. Il palazzo colpito vicino a me è uno dei più vecchi della zona, il rifugio era più lontano, quindi ancora più esposti. La solidarietà tra gli israeliani però non è mancata. “Quello che colpisce è che stamattina, alle 8:30, già stavano ricostruendo. I negozi ripartivano, i vetri si sistemavano. Un popolo che si rialza subito. Ma tutte le case, tutte, hanno subito danni. Sono sotto shock – continua – non solo per i morti e i feriti, ma per il rischio che continuiamo a vivere ogni giorno. La paura non finisce con un boato. Dopo l’esplosione, c’è stata un’altra sirena. Durante lo Shabbat ero lì, con mio figlio e i miei nipoti. A 300 metri dalle vittime. Potevamo essere noi”.

    Mentre la comunità internazionale cerca di analizzare e comprendere l’accaduto, l’intervistato lancia un appello: “Gli israeliani non hanno il tempo di spiegare le loro ragioni al mondo. Devono difendersi, ricostruire, anticipare. Indipendentemente dal governo, siamo stanchi di vivere ogni giorno sotto le bombe di chi ci vuole morti”.

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