Una decisione
che rischia di far cadere il governo di guerra
La politica israeliana continua a riservare
sorprese, spesso sgradevoli. In piena guerra, in palese conflitto di
interessi, con una maggioranza risicata
(8 a 7), senza nessun caso giudiziario urgente in gioco, anzi senza alcuna urgenza, salvo il fatto che
a giorni scadeva la possibilità di votare della ex presidente già in pensione,
il che avrebbe rovesciato la maggioranza, la Corte Suprema israeliana ha deciso
per la prima volta nella storia del Paese di annullare una “legge fondamentale”
(che ha valore costituzionale) della Knesset. Questa “legge fondamentale”,
approvata sei mesi fa dalla Knesset e annullata ieri, si proponeva di regolare
per la prima volta la possibilità da parte della Corte stessa di cassare le
leggi, finora rimasta senza definizione legislativa. Vi si stabiliva che, come
accade in tutto il mondo e anche in Italia, l’annullamento di una legge o di un
provvedimento amministrativo potesse avvenire solo quando tale legge o
provvedimento era in contrasto con una legge fondamentale. Alla Corte era così
sottratta la possibilità di decidere solo sulla base del criterio evidentemente
soggettivo della “ragionevolezza”, cioè di annullare una legge o un
provvedimento non per il suo contrasto con il sistema giuridico ma solo perché
lo dichiarava “irragionevole” – il che può vuol dire semplicemente contrario
all’ideologia dominate nella Corte. Ora questo limite è a sua volta annullato:
la Corte ha stabilito in sostanza di non accettare che il Parlamento stabilisca
quali regole essa deve seguire e quali sono i limiti della sua azione. Questa
decisione molto probabilmente farà ripartire la disputa sulla riforma
giudiziaria, che era stata messa da parte dopo il 7 ottobre, rischiando anche
di far saltare il governo di unità nazionale. Certamente indebolirà il paese
nel periodo più difficile della sua vita. C’è solo da sperare che il sistema
politico abbia la saggezza e il patriottismo che sono mancati ai giudici della
Corte Suprema e lo sforzo della guerra non sia danneggiato a causa loro.
Certamente questa sentenza ripropone la necessità di una profonda riforma del
sistema giudiziario israeliano, che oggi, nel momento del pericolo più grave ha
mostrato una drammatica inadeguatezza e un totale autoriferimento.
I rifornimenti
al nemico
Torniamo alla cronaca della guerra. Uno dei problemi
che rendono così difficile il conflitto in corso è la capacità dei terroristi
di continuare a ricevere rifornimenti. Nelle prime settimane del conflitto
Israele aveva decretato un blocco totale dell’ingresso di ogni tipo di merci a
Gaza, presumendo giustamente che essi sarebbero andati non alla popolazione
civile ma a Hamas. Poi la pressione degli Usa ha progressivamente alleggerito e
quasi eliminato questo blocco. Prima i rifornimenti erano solo alimentari e di
medicinali, poi si sono aggiunti i combustibili e altri materiali, i camion
sono diventati da alcune unità molte decine, centinaia al giorno; essi non
si fermano più al sud della Striscia
dove sono gli sfollati ma risalgono fino al nord. All’inizio passavano solo
per il valico con l’Egitto di Rafah, ora
anche da quello israeliano di Kerem Shalom. Comunque vi è abbondante
documentazione che i rifornimenti appena arrivano sono sequestrati dai
terroristi, che usano la forza per respingere coloro che ne sono veramente
bisognosi. Si è mai vista una guerra in cui un belligerante rifornisce i propri
nemici? E non si tratta di osolo di cibo ma anche di materiali come il gasolio
che possono servire a fabbricare i propellenti dei missili che continuano a
essere sparati contro Israele.
Il corridoio
Filadelfia
Questi comunque sono i rifornimenti ufficiali. Poi
ve ne sono altri, quelli di contrabbando, ancora più pericolosi: armi e altri
materiali militari, terroristi che passano in un senso e nell’altro. C’è un
forte sospetto che questo contrabbando arrivi a Gaza attraverso i tunnel che da
vent’anni perforano la frontiera con l’Egitto, soprattutto a Rafah. La striscia
sottile da cui si possono controllare questi transiti è chiamata “corridoio
Filadelfia” (in ebraico tzir filadelfi): una fascia di territorio lunga 14 km e
larga 100 metri fra Gaza e l’Egitto. Nell’ambito del terribile errore commesso
da Ariel Sharon nel 2006, sgomberando la striscia di Gaza che poi fu
conquistata da Hamas e divenne quella piazzaforte del terrorismo che oggi è
così difficile smontare, vi fu un errore ancora più grave: su pressione degli
Stati Uniti, soprattutto da parte del segretario di Stato americano Condoleezza
Rice e contro l’opinione dei responsabili della sicurezza Sharon Sharon siglò
un accordo nel settembre 2005 denominato “Agreed Arrangements”, che
sanciva il ritiro delle forze israeliane dal Corridoio Filadelfia. Le autorità
egiziane avevano promesso nel loro trattato di pace con Israele del 1979 di impedire «atti o minacce di belligeranza,
ostilità o violenza» dal loro territorio, ma in realtà hanno a lungo consentito
un massiccio traffico di armamenti a Gaza tramite i tunnel. Sotto la presidenza
di Al Sisi la maggior parte dei tunnel fu chiusa e la complicità delle autorità
egiziane con Hamas diminuì fortemente. Ma non basta. E’ chiaro che il
contrabbando almeno in parte continua. Ora Israele ha chiesto all’Egitto di
restituirgli il controllo del corridoio, per chiudere del tutto i rifornimenti
e la possibilità di fuga dei terroristi. L’Egitto però è molto riluttante,
preferendo per ragioni di politica interna e internazionale, atteggiarsi a
potenza neutrale fra Israele e Hamas. Il problema si pone adesso, perché
Israele ha bisogno di saldare il prima possibile l’assedio alle fortificazioni
sotterranee dei terroristi. Ma sarà ancora più grave dopo la fine della guerra,
quando bisognerà certamente ricostituire una zona di interposizione fra Gaza e
l’Egitto.
Il problema
della Giordania
Un problema in un certo senso analogo si pone per la
Giordania, con cui Israele condivide il confine più lungo (circa 400 chilometri
dal Golan a Eilat) e più tranquillo. Anche qui sono segnalati nuovi pericoli.
Innanzitutto per il contrabbando di armi verso le zone sotto il teorico
controllo dell’Autorità Palestinese: nelle ultime settimane sono state
sequestrate parecchie di queste spedizioni e vi è stato anche un conflitto a
fuoco fra forze di sicurezza giordane e contrabbandieri provenienti dall’Iraq,
dove le milizie sciite filoiraniane operano liberamente. Sono emersi però anche
degli indizi di una possibile linea di invasione di Hezbollah che passi per la
Giordania settentrionale, aggirando lo schieramento dell’esercito israeliano in
Alta galilea e nel Golan. Lo stato maggiore delle forze armate ha comunicato di
aver deciso una nuova disposizione delle forze per contrastare questo pericolo.
Scontri fra
Houti e Usa
Vi sono novità anche per quel che riguarda gli
Houti. Dopo numerosi nuovi bombardamenti di navi commerciali, l’altro ieri un
gruppo di quattro motoscafi veloci uscito dai porti dello Yemen ha cercato di
catturare una portacontainer di passaggio per lo stretto di Bab el Mendeb. Una
nave da guerra americana nelle vicinanze ha ricevuto la richiesta d’aiuto e ha
fatto decollare gli elicotteri per contrastare i pirati, che però hanno
iniziato a sparare contro gli elicotteri. Questi hanno risposto al fuoco,
affondandone tre. Ora è possibile che gli Usa, di fronte a questo attacco
diretto, escano dalla tattica di non reagire alla violenza che avevano scelto finora.
Anche la Gran Bretagna ha annunciato di essere pronta a bloccare con la forza
gli Houti.