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    ISRAELE

    La settimana di Israele: La battaglia di Gaza sta davvero per finire con la vittoria israeliana?

    Un momento decisivo
    Siamo arrivati a un momento probabilmente decisivo per la battaglia di Gaza, che potrebbe concludersi in pochi giorni con la liberazione dei rapiti e il disarmo di Hamas, cioè con la chiara vittoria di Israele anche su questo fronte, dopo i successi ottenuti contro Hezbollah e la Siria, che hanno già cambiato il volto del Medio Oriente. Dei sette fronti della guerra iniziata due anni fa con l’attacco di sorpresa del 7 ottobre, resterebbero ora aperti quelli missilistici dello Yemen e soprattutto dell’Iran, che hanno già subito entrambi gravi perdite, ma che ancora non hanno rinunciato a cercare la distruzione dello Stato ebraico. Vale la pena di segnalare subito che la svolta verso la pace nella battaglia più tormentata e più cruenta di questa guerra non viene dai teatrini di propaganda terrorista delle flottiglie, dai riconoscimenti di Stati inesistenti da parte di governi avventuristi, dalle manifestazioni violente promosse da alcuni partiti di sinistra e dai sindacati in Italia (e solo in Italia); non insomma da tutti gli schieramenti che da due anni lavorano per demonizzare Israele e aiutare i terroristi, Deriva invece dal lavoro diplomatico di Trump e Netanyahu, cioè proprio degli arcinemici di questi schieramenti. La pace può venire solo dalla vittoria di Israele e dalla collaborazione con gli Usa.

    Le premesse militari
    Come sempre nel corso delle svolte storiche, non è possibile sapere se il risultato sarà raggiunto e non sono neppure del tutto chiare le posizioni dei protagonisti, i progetti che hanno fatto, i patti che li legano. La situazione è dunque ancora confusa e vi sono senza dubbio aspetti non dichiarati. Vediamo per il momento di mettere in ordine quel che si sa. Questa fase finale della guerra si può far iniziare il 4 agosto, quando il primo ministro Netanyahu ha proposto al gabinetto di guerra un piano per espandere l’occupazione israeliana su tutta la Striscia di Gaza, inclusa Gaza City, con l’obiettivo di ottenere la resa totale di Hamas e il rilascio di tutti gli ostaggi. Nonostante l’opposizione iniziale del Capo di Stato Maggiore Zamir, il piano è stato adottato dalla riunione del gabinetto di sicurezza del 7 agosto. Le operazioni sono iniziate il 20 agosto, con la distruzione dei punti di osservazione e comando di Hamas sugli edifici più alti della città e l’inizio dell’evacuazione del milione di abitanti di Gaza City, per sottrarli ai combattimenti (a oggi se ne sono andati in circa 800 mila). Le operazioni sono procedute con cautela, per evitare troppe perdite civili e fra le truppe, ma sono procedute senza troppe difficoltà e i reparti israeliani sono arrivati quasi al centro della città. Il 9 settembre l’aviazione israeliana ha attaccato la sede di Hamas a Doha, senza riuscire a eliminare i capi dell’organizzazione terroristica, ma mostrando la volontà e la capacità di dar loro la caccia anche nel santuario del Qatar. Fra Gaza, Doha, gli attacchi alle forze terroriste in Yemen, Siria e Libano, Israele ha riaffermato un completo predominio militare sul Medio Oriente.

    La presentazione del piano
    Sul fronte diplomatico Netanyahu nel suo discorso all’Onu del 26 settembre ha reiterato le ragioni di Israele e la sua volontà di liberare i rapiti e di eliminare Hamas. Contemporaneamente si svolgeva una fitta attività diplomatica con numerose telefonate fra Netanyahu e Trump e un incontro di quest’ultimo con i rappresentanti dei principali stati arabi e musulmani. Il 29 settembre, alla fine della visita del premier israeliano, Trump presentava alla stampa il suo piano in 20 punti e Netanyahu dichiarava il suo appoggio. Nel piano erano presenti la liberazione entro 72 ore dalla sua messa in opera di tutti rapiti, sia vivi che defunti, il disarmo di Hamas e l’esclusione di ogni sua influenza politica sulla Striscia, la gestione di Gaza da parte di un organismo internazionale presieduto da Trump senza la partecipazione dell’Autorità Palestinese e con l’appoggio di forze armate esterne a Gaza, il ritiro progressivo delle truppe israeliane fino alla periferia di Gaza, con la possibilità di intervenire per contrastare minacce terroristiche.

    La risposta di Hamas
    Nei giorni successivi Trump dava tempo a Hamas di rispondere entro la sera di domenica. Vi sono state subito diverse reazioni informali piuttosto negative, ma la risposta ufficiale è uscita sabato mattina. Eccone i punti principali: “ […] 1. Accettiamo i termini relativi a un cessate il fuoco completo e immediato, come delineato nella proposta […]. 2. Confermiamo il nostro impegno a rilasciare tutti i prigionieri israeliani – sia vivi che i resti dei defunti – secondo la formula di scambio contenuta nella proposta del Presidente Trump. […] 3. Approviamo il trasferimento dell’amministrazione della Striscia di Gaza a un organismo palestinese di indipendenti (tecnocrati), formato sulla base di un consenso nazionale palestinese e supportato da partner arabi e islamici.[ …] 4.Una volta raggiunto l’accordo, gli aiuti completi entreranno immediatamente nella Striscia di Gaza attraverso le Nazioni Unite, le sue agenzie, la Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali non affiliate a nessuna delle parti. […] 5. Ribadiamo la nostra disponibilità a negoziare attraverso i mediatori (Qatar, Egitto e altri) per chiarire e raffinare i punti residui della proposta, inclusi quelli relativi alla governance a lungo termine, alla sicurezza e alla ricostruzione economica.” Di disarmo e abbandono della Striscia da parte di Hamas non si parla, anche se altre dichiarazioni di suoi dirigenti l’hanno di nuovo esclusa. Come si vede si tratta del classico “sì, ma” che è il modo con cui Hamas in genere esprime il suo rifiuto.

    Le reazioni di Trump e Netanyahu
    Il colpo di scena è venuto subito dopo da parte di Trump che ha deciso di prendere il comunicato di Hamas come un’accettazione del piano e ha twittato, nel suo stile caratteristico: “Hamas ha appena detto SÌ al mio Piano in 20 Punti per Gaza! Accettano il cessate il fuoco, il rilascio degli ostaggi e la ricostruzione di una Nuova Gaza. Questa è una VITTORIA ENORME per la Pace! Ho ordinato a Israele di fermarsi immediatamente. Basta morti—è tempo di prosperità. L’Arte dell’Accordo funziona di nuovo!” Contemporaneamente vi è stata una presa di dichiarazione video di Netanyahu in reazione al comunicato di Hamas che lo descrive come “un passo preliminare, ma non sufficiente”, sottolineando che l’accettazione deve essere “incondizionata e verificabile”, inclusi il rilascio immediato di tutti gli ostaggi e la consegna di armi entro 72 ore e criticando il linguaggio “condizionato” di Hamas come un tentativo di ritardare i negoziati. Dopo il tweet di Trump, Netanyahu ha risposto: “Grazie, Presidente Trump, per il tuo piano storico e il tuo impegno per la pace. Il sì di Hamas è un inizio, ma deve essere totale e verificabile. Gli ostaggi devono tornare a casa, e Hamas deve essere disarmato. Israele è pronto a sostenere il tuo piano, ma non accetteremo mezze misure.” Per il momento Netanyahu ha ordinato una sospensione di 48 ore dei combattimenti, mentre le operazioni terrestri e le postazioni dell’esercito a Gaza City rimangono attive e non vi è consentito il rientro della popolazione.

    Che accadrà ora
    E’ difficile dire se Hamas abbia incastrato Trump o viceversa, e se le mosse in corso siano state concordate fra Trump e Netanyahu. Sono in corso colloqui al Cairo per chiarire i dettagli del piano. Certamente questo è il momento della scelta. Se, anche grazie a forti pressioni arabe, in Hamas prevarrà davvero il “sì” al piano, entro alcuni giorni i rapiti potrebbero essere liberi e potrebbe partire la seconda fase del piano, con l’installazione delle prime truppe internazionali, il ritiro di Israele e la fine della battaglia. In caso contrario è probabile uno sforzo di Israele per chiuderla con la forza.

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