
Dopo 781 giorni di attesa straziante, Israele ha accolto ieri la salma di Dror Or, 48 anni, residente del kibbutz Be’eri, assassinato e rapito il 7 ottobre 2023 durante il massacro di Hamas. Il suo corpo, trafugato a Gaza insieme a quelli di altri civili, è stato identificato dall’Istituto di Medicina Legale e riportato per la sepoltura nel kibbutz che tanto amava.
La tragedia della famiglia Or è una delle più emblematiche dell’orrore del 7 ottobre. All’alba dell’attacco, i terroristi incendiarono la loro casa nel quartiere HaKerem. Dror e la moglie Yonat, nel tentativo disperato di salvare i figli, li fecero uscire dal piccolo finestrino del rifugio: un atto di coraggio che permise ai ragazzi di sopravvivere. Subito dopo la coppia si divise nel tentativo di fuggire, ma entrambi vennero catturati e uccisi.
I figli Noam e Alma, allora 16 e 13 anni, furono rapiti a Gaza e rimasero 50 giorni nelle mani di Hamas, ignari del destino dei genitori. Furono liberati nella prima fase dell’accordo sugli ostaggi, il 25 novembre 2023. Il fratello maggiore, Yahli, si salvò perché stava frequentando un corso pre-militare nel nord del Paese.
Il kibbutz Be’eri, uno dei luoghi più colpiti dal massacro, ha salutato Dror con profonda commozione: “Un padre devoto, un marito amorevole, un uomo buono, sensibile e generoso”. Dror era un mastro casaro e chef stimato, cofondatore della “Mekhèlet Be’eri – Formaggi artigianali”, e insegnava anche yoga. Un uomo di pace travolto dalla ferocia di Hamas.
Con il suo ritorno, non restano più ostaggi di Be’eri nelle mani dell’organizzazione terroristica. Ma a Gaza si trovano ancora due ostaggi caduti: il sergente maggiore Ran Gvili e il cittadino thailandese Suttisak Rinthalak. Il governo israeliano ribadisce che Hamas deve rispettare gli impegni assunti e restituire immediatamente le salme, come previsto dagli accordi.
Nel comunicato ufficiale, l’Ufficio del Primo Ministro ha affermato: “Israele è determinata a riportare a casa ogni ostaggio, fino all’ultimo. Nessun compromesso”.
Il ritorno di Dror chiude un capitolo dolorosissimo per la sua famiglia e per il kibbutz. È una vittoria amara, ma anche un atto di giustizia: restituisce dignità a un uomo che, fino all’ultimo istante, ha lottato per proteggere i suoi figli.
La sua memoria diventa oggi un simbolo di resilienza israeliana, di coraggio civile e di un impegno che non verrà mai abbandonato: riportare tutti i nostri a casa.













