
Un’operazione senza violenza
Fra mercoledì notte e giovedì in giornata la marina israeliana ha bloccato le 45 barche della “flottiglia” che cercavano di rompere il blocco navale di Gaza, le ha portate al porto di Ashdod e ha arrestato le circa 200 persone che erano a bordo, di cui ora è in corso l’espulsione. L’operazione, condotta dal corpo d’élite della Shayetet 13 e dalle donne del reparto Snapir, è stata tranquilla, incruenta, senza violenza né danni alle persone e alla cose. Gli unici oggetti distrutti sono stati i telefoni cellulari e i computer del gruppo dirigente, che i proprietari hanno gettato in mare subito prima dell’arrivo dei militari israeliani, presumibilmente per non lasciare le prove dei loro contatti. Il primo ministro Netanyahu ha elogiato i soldati per essersi sacrificati a compiere l’operazione durante il giorno di Kippur, la ricorrenza più sacra del calendario ebraico, in cui gli ebrei digiunano e chiedono perdono per le colpe commesse e tutta Israele si ferma. È ovvio che chi ha diretto il viaggio della flottiglia, durato un mese con molte soste nei porti del Mediterraneo, avesse calcolato di arrivare proprio quel giorno, magari sperando in un indebolimento delle misure di sicurezza, come del resto avevano fatto i paesi arabi che avevano attaccato in questo giorno Israele nel 1973, dando luogo alla guerra detta “di Kippur”.
Una cosa importante e perfino paradossale sta emergendo dalla perquisizione di alcune delle barche della flottiglia da parte della polizia israeliana, come si vede in questo filmato: https://www.facebook.com/reel/830056039473587 . Non sono stati trovati finora, almeno su alcune delle barche più grandi, i famosi aiuti alimentari che la flottiglia pretendeva di portare ai palestinesi. Se fosse così per tutte le barche, si capirebbe perché la flottiglia ha rifiutato di far portare a Gaza dal Vaticano o da Israele gli aiuti (inesistenti) lasciandoli in un porto. Insomma troverebbe conferma quel che molti hanno detto spesso: la flottiglia non è stata una missione umanitaria ma un’operazione di pura propaganda anti-israeliana.
La legalità del blocco
Vale la pena di chiarire ancora che il blocco navale di Gaza è stato proclamato il 3 gennaio 2009 per impedire il contrabbando di armi verso Gaza che era già iniziato prima del colpo di stato di Hamas nel 2007 e poi è continuato. Per esempio vi è stato il caso della nave Karine A, diretta a Gaza e catturata nel Mar Rosso il 3 gennaio 2002 con 62 razzi Katyusha, 700 proiettili di mortaio da 120mm, missili anticarro e oltre 400.000 colpi di munizioni per armi automatiche, oltre a una tonnellata e mezza di esplosivo C-4, tutti provenienti dall’Iran. O quello della la nave Francop, fermata al largo di Cipro il 4 novembre 2009 con un carico di oltre 320 tonnellate di armi iraniane nascoste tra sacchi di polietilene. O ancora quello della nave Victoria, intercettata il 15 marzo 2011 nel Mediterraneo con 50 tonnellate di armamenti: 2.500 colpi di mortaio, 66.960 proiettili Kalashnikov, e sei missili antinave C-704. Nel 2011 il blocco fu sottoposto al giudizio delle Nazioni Unite. Un rapporto della commissione Onu, guidata da Sir Geoffrey Palmer, ex Primo Ministro della Nuova Zelanda, concluse che il blocco era legale secondo il diritto internazionale. Bisogna aggiungere che l’argomento secondo cui non si può arrestare la navigazione in acque internazionali non ha senso: tutti i blocchi navali della storia (che sono stati numerosi, almeno fin dai tempi del blocco continentale dichiarato dalla Gran Bretagna contro Napoleone) si esercitano non al largo del territorio dello stato bloccante ma di quello bloccato, anche in acque internazionali. Del resto il blocco di Gaza è stato attuato già contro numerosi tentativi come quello attuale, a partire dalla flottiglia turca guidata dalla nave Mavi Marnara, fermata il 31 maggio 2010 con un assalto reso sanguinoso dalla resistenza armata di terroristi organizzati di un gruppo turco. Israele non è mai stato condannato per queste operazioni. Ovviamente, dato che a Gaza adesso si svolge una guerra, il blocco è ancor più giustificato per ragioni di sicurezza.
La risonanza all’estero
Bisogna dire che questa volta l’operazione non ha presentato particolari difficoltà tecniche, salvo quella di raggiungere molte decine di barche che cercavano di arrivare sulla costa (dove però non vi sono porti funzionanti) prima di essere raggiunte dai militari israeliani. Per questa ragione l’arresto non ha avuto uno spazio rilevante sui media israeliani, che hanno ripreso a informare ieri sera,dopo la pausa di Kippur. Altre notizie hanno colpito di più: l’orribile attentato di Manchester in cui un terrorista di origine siriana ma con cittadinanza britannica ha ucciso a coltellate due ebrei all’ingresso di una sinagoga, e se non fosse stato eliminato dal fuoco della polizia avrebbe potuto fare danni ben più gravi, dato che portava una cintura esplosiva; gli scontri a Gaza dove Hamas è riuscita a sparare tre missili sul territorio israeliano, fermati da Iron Dome, e c’è stata l’infiltrazione di un terrorista in una postazione israeliana, che prima di essere eliminato ha ferito gravemente due soldati. Soprattutto ci si interroga sulla risposta che darà Hamas al piano Trump, perché da questo dipende l’intensificazione oppure la fine delle operazioni a Gaza. Del resto il blocco della flottiglia e prima il suo percorso e le sue dichiarazioni non hanno suscitato grande interesse internazionale. I giornali dei vari paesi, inclusa la Spagna che è l’origine della crociera nel Mediterraneo ed ha un governo violentemente anti-israeliano, non hanno quasi mai messo il tema in prima pagina, non si sono registrate quasi manifestazioni, occupazioni, scioperi.
Le reazioni in Italia
Che in Italia le cose siano invece andate così e che ci sia ancora un’intensa agitazione intorno alla flottiglia, è un tema su cui è necessario riflettere. In primo luogo tutti i dati dicono che le manifestazioni e gli scioperi sono violenti e provocano gravi disturbi, ma sono estremamente minoritari. Lo testimoniano i risultati elettorali delle organizzazioni studentesche più impegnate come “Cambiare rotta” (che in genere ottiene meno del 5% dei voti per le elezioni dei rappresentanti studenteschi) e anche l’adesione agli scioperi. Per fare un esempio solo, quello del 22 settembre, sempre sul tema di Gaza, ha riscosso adesioni fra il 15% (Atm Milano) e il 6% (funzione pubblica nazionale). Il punto critico è che non viene più mantenuta la distanza tradizionale fra le organizzazioni politiche nazionali di sinistra come il PD o di sindacati come la CGIL e i gruppi estremisti filoterroristi. Il fatto che il piano Trump abbia proposto per la prima volta una prospettiva concreta per la pace a Gaza e che ciò cambi il quadro e gli obiettivi di chi aspira alla pace, agli estremisti della flottiglia e di chi proclama di essere il suo “equipaggio di terra” chiaramente non interessa, anzi li preoccupa, anche perché ormai sono ben documentati i rapporti politici e finanziari fra la flottiglia e Hamas. Ma dovrebbe interessare a organizzazioni politiche e sindacali responsabili, almeno considerando la posizione favorevole di questi tutti i principali paesi europei e anche di quelli musulmani (Egitto, Arabia, Giordania, Emirati, Pakistan, Indonesia) e perfino dell’Autorità Palestinese. Purtroppo le cose non stanno così e non si può non interrogarsi sulla ragione di questo atteggiamento.