
Negli ultimi giorni, migliaia di gazawi si sono riversati nei centri di distribuzione gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), organizzazione sostenuta dagli Stati Uniti, che ha ufficialmente iniziato a operare nella Striscia con il supporto logistico e di sicurezza dell’esercito israeliano.
Secondo l’IDF, due dei quattro siti di distribuzione pianificati hanno iniziato a funzionare: tre a Tel al-Sultan (Rafah) e uno nel corridoio di Netzarim, a sud di Gaza City. A gestire i centri sul campo è una società di sicurezza privata americana, mentre l’IDF garantisce la sicurezza perimetrale.
La Gaza Humanitarian Foundation ha annunciato di aver già distribuito 8.000 pacchi alimentari – l’equivalente di oltre 460.000 pasti – grazie al sostegno di tre ONG partner: la International Human Rights Commission, Rahma Worldwide e la Multifaith Alliance. Ogni pacco contiene beni di prima necessità – farina, pasta, legumi, olio e cibo in scatola – sufficienti per sfamare una famiglia di cinque persone per alcuni giorni.
Tuttavia i disordini non si sono fatti attendere: nel centro di Tel al-Sultan, i contractor della Safe Research Solutions (SRS) sono stati costretti a sparare in aria per contenere l’assalto di centinaia di civili. Hamas ha denunciato l’iniziativa della GHF definendola “fallimentare” e, secondo varie testimonianze, avrebbe persino istituito posti di blocco per impedire alla popolazione di raggiungere i centri di distribuzione, temendo di perdere il controllo del territorio e della gestione degli aiuti. Parallelamente, lo stesso movimento islamista ha avviato una distribuzione autonoma di cibo ad Al-Mawasi, utilizzando – secondo fonti locali – razioni precedentemente accumulate.
Il generale Rassan Alyan, capo del COGAT, ha accusato le Nazioni Unite di “non ritirare volontariamente” centinaia di camion di aiuti stoccati al valico di Kerem Shalom, accusandole di diffondere “informazioni fuorvianti”. L’ONU, attraverso il portavoce dell’Ufficio per gli Affari Umanitari (OCHA), Jens Laerke, ha criticato l’approccio unilaterale della GHF, definendolo una “distrazione” rispetto alla necessità primaria: la riapertura strutturata dei valichi e un meccanismo stabile e indipendente di consegna degli aiuti. Anche gli Stati Uniti sono intervenuti. Il Dipartimento di Stato ha respinto le accuse delle Nazioni Unite parlando di “ipocrisia”, e ha ribadito che l’obiettivo della GHF è esclusivamente umanitario. Tuttavia, rimangono molti interrogativi sul finanziamento dell’intera operazione: il portavoce della GHF ha parlato di un contributo da 100 milioni di dollari da parte di un “Paese straniero”, senza specificare quale. Alcune fonti suggeriscono che Israele possa essere coinvolto, almeno in parte.