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    ISRAELE

    L’ottavo fronte di Israele: la guerra alla disinformazione

    «Hamas conduce contro Israele una guerra ibrida che combatte con le armi a Gaza e con le fake news sul web, innescando un’onda crescente di odio e pregiudizi – osserva Maurizio Molinari, editorialista de La Repubblica intervistato da Shalom– che aggredisce la sicurezza degli ebrei della Diaspora». È questa la cornice per comprendere la dinamica dell’ottavo fronte di guerra che minaccia Israele dall’indomani del 7 ottobre.

    In questi due anni la situazione sul fronte dell’antisemitismo è degenerata. Come si è giunti a questo?

    Il motivo è la natura dell’attacco lanciato da Hamas il 7 ottobre 2023. È un conflitto ibrido, ovvero si sviluppa su più fronti contemporaneamente: da una parte c’è la guerra vera e propria, combattuta con le armi in mano e con atti terroristici nella realtà fisica, mentre dall’altra c’è la guerra dell’informazione, il cui intento è delegittimare l’avversario e generare scompiglio nel suo campo. È questo secondo fronte che, facendo leva su fake news e social network, ha risvegliato nella realtà digitale il germe dell’odio antiebraico generando il clima più aggressivo degli ultimi 80 anni nei confronti degli ebrei in più Paesi e continenti. L’antisionismo è la narrazione su cui Hamas punta per delegittimare l’esistenza dello Stato ebraico e trasformare ogni “sionista” in un avversario da discriminare, isolare, ghettizzare, punire ed anche aggredire. Siamo di fronte ad una campagna globale di disinformazione basata sull’equiparazione fra sionismo e razzismo coniata dall’Urss nel 1967.

    Cosa rappresenta il fronte dei media in questo conflitto?

    È parte integrante del campo di battaglia. Hamas ed i suoi sostenitori hanno iniziato ad usare i social network, subito dopo il 7 ottobre, per offendere le vittime del pogrom, irridere gli ostaggi catturati, celare stupri e violenze, e in ultima istanza giustificare la più efferata strage di ebrei dalla Shoah. Quanto avvenuto da allora ha adoperato ogni tassello della guerra di Israele contro Hamas, Hezbollah, Jihad islamica, Houthi ed Iran al fine di generare una campagna globale di odio contro l’esistenza stessa dello Stato ebraico. A descrivere e riassumere tale campagna è il grido “From the River to the Sea” con cui si auspica la creazione di uno Stato palestinese fra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo senza ebrei, riproponendo il concetto di “Judenrein” con cui i nazisti perseguivano l’obiettivo di una Germania senza ebrei.

    Che ruolo hanno i media nella narrativa della guerra a Gaza? Perché si registra un proliferare così massiccio di fake news?

    Perché questo è il metodo con cui viene condotta una guerra ibrida. Le fake news servono per creare una realtà alternativa, indipendente dai fatti, che spinge una moltitudine di utenti ad identificarsi e rilanciare ogni sorta di falsità. Nascono così le campagne che addebitano a Israele genocidio, carestia e pulizia etnica in maniera ideologica ai danni della popolazione palestinese a Gaza e nella West Bank. Proprio come venne usato il deicidio in più epoche e Paesi durante un periodo di oltre venti secoli. L’antisemitismo si nutre da sempre di bugie e la campagna di Hamas ne diffonde sistematicamente tre: Israele è colpevole di genocidio, Hamas rappresenta i palestinesi, non c’è alcun legame fra terra e popolo d’Israele. Ma c’è una differenza cruciale con la lunga epoca del pregiudizio sul deicidio: allora le bugie viaggiavano di bocca in bocca mentre oggi corrono sul web, raggiungendo un pubblico assai più ampio in tempi molto più stretti.

     C’è possibilità che questa guerra mediatica influenzi anche l’esito del conflitto sul terreno?

    È ciò che Hamas tenta di fare. Il gruppo jihadista sa che non può vincere militarmente contro Israele, dunque punta su bugie e pregiudizi per riuscire ad isolare lo Stato ebraico nel mondo, nella convinzione che ciò possa avvicinare la sua distruzione. E ancora: sul fronte interno israeliano Hamas gioca in maniera feroce e spregiudicata le immagini degli ostaggi per tentare di dividere lo Stato ebraico, mettendo gli abitanti gli uni contro gli altri al fine di creare scompiglio politico ed impedire al premier Netanyahu di governare, di condurre la guerra.

    Quali sono i riflessi di questa battaglia mediatica in Occidente e in che modo l’ottavo fronte sta incidendo sull’antisemitismo e sulla percezione delle comunità ebraiche?

    A due anni dal 7 ottobre Hamas e i suoi sostenitori sono riusciti a raggiungere l’obiettivo di convincere una buona parte del pubblico europeo, ed una parte minoritaria ma significativa di quello americano, che la colpa della guerra è di Israele e di tutti coloro che non ne denunciano “la natura criminale”. Gli attacchi fisici, a proprietà ebraiche e persone ebree, dagli Stati Uniti all’Europa, Italia inclusa, sono la conseguenza di questo fenomeno. È un’onda che continua a crescere. Creando pericoli molto seri per la sicurezza delle comunità ebraiche.

    Come ci si può difendere da questa disinformazione?

    Davanti al dilagare di bugie, pregiudizi e disinformazione le reazioni più efficaci possono essere due. Innanzitutto, come la Storia insegna, serve grande fermezza nel non cedere mai alle bugie, respingendole e smentendole lì dove sono più presenti: sui social network e più in generale sul web. In secondo luogo, facendo tesoro delle parole che Giorgio Napolitano, capo dello Stato, adoperò nel 2007 per definire l’“antisionismo” come “un antisemitismo travestito” al fine di non consentire la delegittimazione dello Stato ebraico.

    Tutto ciò non ha dunque nulla a che vedere con le critiche per il governo Netanyahu per la conduzione della guerra…

    Le critiche a Netanyahu fanno parte della vivacità della società israeliana perché c’è  un’anima del Paese che vuole estrometterlo dal governo. Sono critiche aspre che investono la proposta di riforma della giustizia, la conduzione della guerra, il negoziato sugli ostaggi e le ragioni del fallimento del sistema di sicurezza il 7 ottobre 2023. Tali e tante proteste anti-Netanyahu confermano come la forza più importante di Israele è la capacità di dibattere sempre, su tutto e tutti, anche nel bel mezzo di una guerra per la sopravvivenza.

    Ma le immagini di vittime e distruzione a Gaza non giovano alla guerra ibrida di Hamas?

    Le sofferenze dei civili di Gaza sono il risultato della brutalità della guerra che oppone Hamas e Israele. Hamas le adopera sul web per avvalorare la delegittimazione di Israele mentre Israele appare spesso in ritardo nel rispondere a tale campagna ibrida.

    Perché Israele appare in difficoltà nell’affrontare la guerra ibrida di Hamas?

    Per tre motivi. Primo: due anni fa è stato colto di sorpresa ed ha concentrato l’impegno nella sfida militare contro Hamas e Iran. Secondo: dopo gli accordi di Oslo del 1993 è prevalsa la convinzione errata che la battaglia sulla legittimazione globale fosse vinta. Terzo: la guerra ibrida obbliga Israele a ridefinire la propria dottrina di sicurezza perché nel XXI secolo le minacce digitali sono pericolose quanto quelle fisiche.

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