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    ISRAELE

    Si riaccende lo scontro con l’Iran?

    Non la guerra di Gaza, ma dell’Iran
    Tutti tendono a parlare della guerra iniziata due anni fa come il conflitto con Hamas o la battaglia di Gaza. Questa idea è però assai imprecisa. Si tratta di un effetto propagandistico, che serve a inventare accuse di genocidio, fame, strage di bambini; a far apparire Israele come un Golia che opprime un piccolo popolo eroico; a mostrare le atrocità del 7 ottobre come frutto di “esasperazione per l’occupazione”. In realtà gli attacchi contro Israele si sono sviluppati su sette fronti (oltre a Gaza, Libano, Siria, Giudea e Samaria, Yemen, Iran) e proprio quest’ultimo è stato quello principale, la direzione strategica, economica e ideologica della guerra. Sicché se il dopoguerra tarda a trasformarsi in una pace, la ragione non va cercata a Gaza, ma a Teheran.

    Un nemico determinato e pericolosissimo
    L’Iran è particolarmente temibile perché ha una popolazione di quasi dieci volte quella di Israele, un territorio oltre cinquanta volte più esteso, risorse naturali immense, posizione strategica dominante rispetto alle fonti petrolifere del Golfo Persico, una popolazione istruita e un sistema scientifico e tecnologico avanzato, masse fanatizzate nella variante sciita dell’Islam che non sono compensate dallo strato moderno e combattivo fino all’eroismo di giovani e donne della borghesia urbana o dalle minoranze etniche azere, curde, beluce, arabe duramente represse. Il suo regime clerico-fascista è in piedi dalla rivoluzione di Khomeini del ’79, cioè da più di 45 anni; ogni tanto traballa in seguito a sconfitte politiche e militari o alle periodiche rivolte giovanili, ma poi regge. Nel programma ideologico del regime la distruzione di Israele ha un posto centrale fin dalla fondazione, anche se i due paesi distano più che l’Italia e la Svezia e naturalmente non ci possono essere fra loro rivendicazioni territoriali. Le ragioni di quest’odio ossessivamente ribadito sono parecchie. L’Iran, erede dell’impero persiano, aspira all’egemonia regionale e Israele è il solo ostacolo serio per essa; la speranza di distruggere il “tumore imperialista” rappresentato dalla “entità sionista” è diffuso fra le masse arabe e l’Iran spera di conquistare il loro appoggio diventando il solo stato che persegue davvero questo obiettivo. Nel cuore dello sciismo vi è un atteggiamento apocalittico che crede nella salvezza attraverso la distruzione e in un nemico cosmico, che è stato identificato da Khomeini con gli ebrei. Israele è infine il punto terminale di un antico “ponte di terra” o “mezzaluna fertile” che dall’Iran passa per Iraq, Siria e Libano e che potrebbe portare i persiani al dominio del Mediterraneo Orientale, come già ai tempi di Dario e Serse.

    Le armi del regime
    Per realizzare questo progetto e in genere l’egemonia del Medio Oriente, il regime degli ayatollah ha finanziato e armato molti gruppi satelliti, da Hamas a Hezbollah agli Houti, ma ha anche intrapreso un progetto gigantesco di armamento tecnologico, incluso l’accumulo di un arsenale missilistico potente e capace di raggiungere non solo Israele, ma anche tutto il Medio Oriente e l’Europa, ma soprattutto il tentativo di costruire la bomba atomica il cui effetto di deterrenza lo renderebbe difficilissimo da bloccare. Israele ha lavorato per decenni per denunciare questo piano al mondo e bloccarne clandestinamente gli sviluppi. La guerra del 7 ottobre è stata scatenata e gestita dai suoi satelliti, sotto la copertura di questo arsenale e naturalmente la sua direzione. In due occasioni poi l’Iran è intervenuto direttamente con bombardamenti missilistici su Israele, che sono stati in buona parte bloccati dal sistema antimissile a più strati di Israele ma hanno fatto comunque danni abbastanza consistenti.

    La reazione israeliana
    La guerra dei dodici giorni (13-25 giugno scorsi) è stata la reazione di Israele con l’appoggio degli Usa. Il programma nucleare dell’Iran, che sembrava sul punto di arrivare al risultato, è stato pesantemente colpito, come pure gli arsenali missilistici, il sistema di difesa antiaereo e molti quadri militari e tecnologici. Ma per volontà di Trump (che secondo una tradizionale politica americana non voleva la vittoria completa di Israele per non apparire come nemico dei musulmani o guerrafondaio) l’attacco è stato interrotto presto, prima della distruzione completa delle armi avanzate iraniane o della caduta del regime.

    La situazione attuale
    Sono passati sei mesi e gli ayatollah non sono riusciti, a quanto pare, a restaurare il programma atomico (non ancora, almeno), ma l’armamento missilistico e l’antiaerea sì, anche grazie all’appoggio russo e soprattutto cinese sicché l’Iran è di nuovo pericoloso e ha ripreso le sue minacce contro Israele; soprattutto è l’elemento fondamentale che impedisce la vera fine della guerra. Vi sono stati di nuovo episodi di pirateria nel Golfo Persico, sono continui i tentativi scoperti di riarmare Houti, Hamas e soprattutto Hezbollah, l’altro giorno le forze armate iraniane hanno fatto una grande esercitazione su tutto il paese con lancio di missili, che ha fatto pensare a un possibile schermo per un nuovo attacco diretto a Israele. Per chiudere davvero i conti e raggiungere la pace nella regione è probabilmente necessaria una nuova operazione militare, un nuovo ciclo di bombardamenti, che Israele potrebbe compiere da solo, anche senza l’intervento attivo americano, ma che ha bisogno del consenso Usa, per quanto riguarda rifornimenti d’armi e anche la difesa di Israele dall’inevitabile tentativo di reazione iraniana. Voci insistenti in Israele sostengono che nel prossimo incontro con Trump in Florida fra meno di una settimana, questa sarà la proposta sostenuta da Netanyahu, insieme alle discussioni sull’inizio della seconda fase del piano di Gaza.

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