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    Sostenere Israele significa sostenere la vita

    Occorre tempo per giudicare la Storia. Occorre tempo per comprendere la guerra, per accettarla, per digerirla. Occorre tempo per far rimarginare le ferite. La prospettiva del domani rende ieri passato. Senza domani, ieri è un oggi infinito. Ecco, in questo momento, Israele vive nell’oggi infinito: un tempo sospeso, indefinito, che potrebbe durare giorni, settimane, mesi, anni. Un concetto un po’ astratto. Filosofia spicciola, lo so, ma comunque importante da capire. Israele si trova in un momento di pura precarietà, così che trarre conclusioni o parlare della strage con distacco, a mente lucida, ci risulta, ancora, del tutto impossibile.

    Ci sarà tempo per commentare, per analizzare, per condannare, per piangere, per ricordare, per recriminare. In questo momento, scrivere a proposito dell’attacco criminale di Hamas, dei 1.350 morti,  dei 3.000 feriti, dei 100 (forse più) ostaggi a Gaza, è come scrivere di un terremoto quando il terremoto è ancora in corso. Quando la terra trema e non sai ancora quando e se si fermerà. In questo momento, la terra in Israele trema e nessuno sa quando e se si fermerà.

    In questo quadro apocalittico, quindi, dove tutto è ancora confuso, una cosa sola mi è assolutamente chiara. E non riguarda Israele, bensì il resto del mondo. Ho scoperto, forse in ritardo, che l’uomo ama i perdenti. Che l’uomo ha un debole per le vittime. Ripensandoci, è del tutto naturale, forse poiché morale. D’altronde, quale essere umano degno di essere definito tale si schiererebbe a favore del bruto e del prepotente a spese del piccolo e dell’indifeso? Nessuno. Certo nel mondo del politically correct in cui viviamo oggi.

    Eppure sbagliamo. Sbagliamo clamorosamente. Sbagliamo perché pecchiamo di superficialità e d’ingiustizia. Sì, quando diamo ragione al più debole solo perché debole, siamo superficiali. E anche ingiusti. Soprattutto ingiusti. Mi spiego. Il mondo si è schierato a favore di Israele a causa della sua (momentanea) fragilità e, senza alcuna forma di cinismo, confesso che vedere i monumenti delle maggiori capitali europee illuminarsi di blu e bianco, mi ha commosso. Proprio così. Dopo lunghi anni nei quali Israele è stata incriminata, condannata, messa alla gogna mediatica a prescindere dalle sue azioni, ma per il solo status di superpotenza, questo improvviso sostengo collettivo mi ha toccato profondamente.

    Mi ha commosso sentire le parole spese da Giorgia Meloni fuori dal Tempio Maggiore e quelle pronunciate da Matteo Renzi alla fiaccolata organizzata da Il Foglio. Mi sono commosso anche ascoltando Joe Biden e Olaf Scholz, Emmanuel Macron e Antony Blinken. Mi sono commosso rivedendo un filmato d’archivio di Golda Meir su Instagram e mi sono commosso pure ascoltando una vecchia canzone del rapper israeliano Sabliminal. Cosa piuttosto improbabile, credetemi.

    Di base, tutto mi commuove in questi giorni. Persino al supermercato, all’indomani dello scoppio della guerra, mi sono messo a piangere vedendo un signore cedere a un altro signore il suo posto in fila alla cassa (gesto raro in un Paese spartano e frenetico come quello ebraico). Il bello è che, scoprendo le mie lacrime, i due signori non mi hanno guardato come a dire sei-proprio-un-esaurito, ma hanno sorriso malinconici, forse stupiti dell’effetto collante che la guerra ha su di loro. In effetti, sono tutti più bendisposti e concilianti in Israele in questi giorni. Ma questa è un’altra storia.

    Ciò che stavo sostenendo, invece, è che Israele gode del supporto internazionale solo per la sua attuale vulnerabilità. Per essere stata colta di sorpresa e messa in ginocchio. Fantastico, ma c’è un problema. Una falla. Israele non rimarrà vulnerabile a vita. Anzi. Conoscendo il Paese in questione, entro poco, pochissimo, Israele si rialzerà e comincerà a camminare. Poi a correre. Attaccherà Gaza duramente per sradicarne Hamas dal suolo e a quel punto Gaza tornerà ad essere la vittima, debole e indifesa. E a quel punto il mondo si troverà davanti ad un bivio: sostenere il popolo debole o quello forte? L’intuito mi suggerisce che l’umanità non avrà imparato la lezione, che farà retromarcia e che tornerà a legittimare il popolo in difficoltà. Ovvero quello palestinese.

    Questa guerra, invece, dovrebbe insegnarci a giudicare un popolo per la sua cultura e la sua ideologia, e non per il suo status. Israele va sostenuta non poiché forte o debole. Israele va sostenuto per il DNA stesso che caratterizzala sua democrazia. Ricordiamo, come se non l’avessimo fatto abbastanza, l’unica democrazia del Medio Oriente. Ecco, Israele va sostenuta poiché predicatrice di vita e non di morte. Senza idealizzare eccessivamente un Paese che, come tutti gli altri, non è perfetto, dobbiamo sempre ricordarci che Israele è fondata sui principi civili che l’accomunano all’Italia, alla Francia, alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti. Cos’hanno in comune l’Italia e Hamas? Quali valori condividono? Nessuno.

    Pertanto, l’attuale guerra in corso in Medio Oriente, è diversa dalle precedenti. Non ci si batte più per un pezzo di terra conteso. Non ci si batte più nemmeno in nome di una presunta libertà di un presunto popolo oppresso. Ci si batte in nome di un’ideologia, di una cultura. La cultura d’Israele, della vita, della democrazia, e la cultura di Hamas, della morte, della dittatura. L’equazione cambia in Medio Oriente. Israele combatte oggi in nome di quella civiltà che l’Europa stessa ha sempre rivendicato, contro un’organizzazione terroristica criminale che ieri si chiamava Isis e oggi si chiama Hamas. Un’organizzazione che taglia le teste ai bambini e brucia vive le persone. Che rapisce, violenta, tortura, massacra. Proprio come l’Isis.

    È importante dare un nome alle cose. Non a caso, infatti, associamo Hamas all’Isis. L’unico modo per garantirci che il mondo supporti Israele anche nei suoi momenti di forza, è mostrando il vero volto di Hamas. Il volto del male. Il volto di chi per anni ha giocato il ruolo della vittima occupata, nascondendosi dietro al suo popolo e privandolo di una vera prospettiva di pace. Sì, il popolo palestinese è il primo a soffrire di Hamas e finché ci sarà Hamas, non ci potrà essere alcuna pace. Finché ci sarà Hamas, non solo Israele, ma l’intero mondo civile sarà in pericolo. Un’Israele forte, quindi, è nell’interesse di tutti. Anche di chi, da sempre, sostiene i deboli, a prescindere, senza alcun fondamento logico, o morale. Uno sbaglio, ecco. Un’ingiustizia. Non aspettiamo dunque la prossima minaccia esistenziale: sosteniamo la vita, la democrazia, anche nei suoi momenti di forza. Sosteniamo Israele, sempre.

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