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    ISRAELE

    Trump ha cambiato politica verso Israele

    Scelte allarmanti

    Alla vigilia del viaggio del nuovo mandato del presidente degli Stati Uniti in Medio Oriente, che toccherà Arabia Saudita, Emirati e Qatar ma non Israele, c’è molta preoccupazione nei giornali israeliani per un possibile allontanamento dell’amministrazione Trump dalla difesa dello Stato ebraico. Come ha scritto Amit Segal, uno dei più importanti giornalisti israeliani, “Donald Trump è pronto ad aiutare l’Arabia Saudita a raggiungere capacità nucleari senza chiedere in cambio la normalizzazione con Israele? Washington non ha ancora confermato il rapporto di ieri pubblicato da Reuters, ma se fosse vero, si tratterebbe di un altro passo in una direzione profondamente inquietante.

    [Inoltre] sono emerse preoccupazioni sul fatto che, nell’ambito dei negoziati con l’Iran, gli Stati Uniti non stiano chiedendo il completo smantellamento del programma nucleare di Teheran. (In difesa di Trump, mercoledì egli ha dichiarato a Hugh Hewitt: ‘Preferirei di gran lunga un accordo solido e verificato in cui li facciamo effettivamente esplodere… o semplicemente li denuclearizziamo’, aggiungendo: ‘Ci sono solo due alternative: farli esplodere con delicatezza o farli esplodere brutalmente’).

    Poi c’è il suo annuncio che gli Stati Uniti stanno interrompendo gli attacchi contro gli Houti, ma consentendo alla milizia yemenita di continuare a lanciare missili contro Israele. Come ho scritto sul Wall Street Journal, tali mosse non solo ignorano le esigenze di sicurezza di Israele, ma inviano un messaggio chiaro all’Iran e al resto dei nemici di Israele: attaccate Israele e lasciate in pace l’America”.

    Indicazioni ambigue

    A queste notizie allarmanti se ne sono aggiunte delle altre. In seguito alla fine dei bombardamenti sull’Iran gli Usa hanno ritirato dalla base di Diego Garcia nell’Oceano Indiano i bombardieri strategici B2, che erano stati utilizzati contro gli Houti ma potevano anche servire per attaccare i siti del programma nucleare iraniano.

    È emersa poi la decisione di Trump di assicurare i rifornimenti a Gaza, anche se il piano di una distribuzione da farsi nell’estremità meridionale della Striscia, organizzata per famiglie e facendo attenzione che non finisca nelle mani di Hamas, è molto simile al progetto israeliano già esposto nei giorni scorsi. Alcuni in Israele hanno fatto scandalo per il fatto che Trump non ha chiesto il disarmo di Hamas prima di far entrare i sussidi umanitari, ma questa è una pretesa estrema, che anche in Israele è stata sostenuta solo da Ben Gvir e non dal resto del governo.

    Altro indizio. Nella conferenza stampa in cui ha presentato il piano, l’ambasciatore americano in Israele (notoriamente molto filo-israeliano) Mike Huckabee ha fatto una dichiarazione per così dire a doppio taglio: gli Usa, ha detto, non hanno bisogno del consenso israeliano per decidere le loro azioni riguardo allo Yemen – il che lascerebbe pensare a un distacco politico. Ma lo stesso, ha aggiunto, vale per Israele – il che costituisce un via libera all’autodifesa dello Stato ebraico, anche rispetto all’Iran, che notoriamente è il costruttore e il fornitore dei missili usati dai ribelli yemeniti. E ha concluso in maniera altrettanto ambigua: Gli Usa non hanno la necessità oggi difendere Israele dai missili degli Houti; ma in Israele ci sono 700mila cittadini col doppio passaporto americano; se i bombardamenti ne colpissero anche una solo, la faccenda passerebbe a riguardarci.

    Riconoscimento dello Stato di Palestina?

    La cosa più allarmante è una notizia pubblicata dal Jerusalem Post, secondo cui “una fonte diplomatica del Golfo, che ha preferito restare anonima e non rivelare la sua posizione, ha dichiarato a The Media Line: ‘Il presidente Donald Trump rilascerà una dichiarazione riguardante lo Stato di Palestina e il suo riconoscimento da parte degli Stati Uniti, e che verrà istituito uno Stato palestinese senza la presenza di Hamas’”. Si tratta però di una notizia anonima, presentata dalla stessa agenzia che l’ha diffusa come “discussa dagli analisti”, che notano come l’annuncio del riconoscimento sarebbe fatto non solo senza coinvolgere Israele, com’è ovvio, ma senza la partecipazione di alleati importanti degli Usa particolarmente legati all’autorità palestinese come l’Egitto e la Giordania, ragion per cui sarebbe improbabile.

    Trump non ne può più di Natanyahu?

    Nel frattempo però questa indiscrezione non controllata si è espansa nell’idea non genericamente di una divergenza strategica fra Stati Uniti e Israele (dove non solo la maggioranza, ma anche i leader più importanti dell’opposizione rifiutano il riconoscimento attuale di uno “Stato di Palestina) ma di una rottura personale fra Trump e Netanyahu, anzi nell’annuncio che il presidente americano “non sopporta più” il primo ministro israeliano. Ma, a parte il fatto che tre giorni fa Trump con Vance e altri responsabili americani ha ricevuto alla Casa Bianca il più fido inviato internazionale di Netanyahu, il ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, in un incontro importante proprio perché non protocollare e senza comunicazioni alla stampa, non si capisce quale sarebbe la ragione di questa “irritazione”: alcuni parlano di “irresolutezza” del primo ministro israeliano nella trattativa sui rapiti; ma che sia Hamas a non volerne la conclusione, perché pongono come condizione il mantenimento della loro presenza armata a Gaza, cioè in sostanza la loro vittoria, come gli americani sanno benissimo. È probabile che “l’irritazione” sia una proiezione di chi non sopporta Netanyahu davvero, dentro Israele e all’estero.

    Strategia dell’incertezza

    Insomma, si tratta di notizie in parte ambigue, in parte dubbie, da confermare (o auspicabilmente da smentire). Quel che è certo è che anche Israele in questo momento delicatissimo, in cui sta radunando le forze per chiudere la partita a Gaza e per liquidare l’armamento atomico iraniano, deve fare i conti con la tattica tipica di Trump: seminare il disordine, l’incertezza, pretendere vantaggi diretti per gli Stati Uniti in ogni occasione (in questo caso soprattutto per la richiesta di investimenti diretti sauditi nell’economia americana), ignorare i vecchi schieramenti, sparigliare continuamente i giochi. Si può solo sperare che la strategia di queste mosse spesso difficili da comprendere sia ispirata all’amicizia per Israele che Trump ha spesso espresso e ribadito. Come ha scritto in un tweet sarcastico l’ambasciatore Mike Huckabee, “il Jerusalem Post avrebbe bisogno di fonti migliori di quella che ha citato. […] Questo articolo non ha senso. Israele non ha amico migliore del Presidente degli Stati Uniti”.

    C’è stata anche una smentita della portavoce della Casa Bianca: “I rapporti del presidente Trump con Israele e con il primo ministro Netanyahu sono molto solidi. Contrariamente alle menzogne che circolano, non ci sarà alcun riconoscimento di uno Stato palestinese.”

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