Skip to main content

Ultimo numero Maggio-Giugno 2024

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati

    ISRAELE

    Un conflitto a fuoco fra Israele ed Egitto: piccolo ma preoccupante

    Un episodio degno di nota che ha avuto poca attenzione
    Una notizia importante – il primo scontro armato fra militari israeliani ed egiziani in questa guerra – ha avuto ieri poca eco in mezzo al nuovo ipocrita scandalo per cui Israele è stato accusato di strage, perché in seguito al colpo preciso che aveva colpito due importanti capi di Hamas, si è diffuso un incendio fra le tende degli sfollati in mezzo a cui essi si nascondevano, provocando una quarantina di morti. Il vero scandalo dovrebbe essere il fatto che i capi e i terroristi di Hamas usino la popolazione civile come scudi umani, non solo per nascondervisi, ma anche per proteggere depositi e officine militari, armi, vere e proprie caserme, luoghi di prigionia dei rapiti e anche le loro rampe di lancio. I missili diretti a Tel Aviv sparati l’altra notte per esempio sono stati lanciati dallo spazio protetto fra una moschea e una scuola. E anche i due capi terroristi colpiti si erano nascosti in un accampamento di sfollati, fra l’altro fuori dalla zona indicata da Israele come garanzia per i civili che fuggivano da Rafah. Tutto ciò è un crimine di guerra, ai sensi delle leggi internazionali.

    Lo scontro a fuoco
    Lo scandalo per questo episodio è dunque solo una tappa propagandistica del percorso di demonizzazione dell’esercito israeliano e della sua guerra di autodifesa, che purtroppo coinvolge ormai molti leader occidentali e anche italiani, oltre che la totalità della stampa. Ma lo scontro con i militari egiziani, avvenuto sulla linea di confine vicino a Rafah e al punto di transito che la corte di giustizia dell’Aia aveva ordinato di aprire (e che è stato tenuto chiuso dagli egiziani da quando Israele ha preso il controllo del “corridoio Filadelfia” che corre lungo il confine fra Gaza e l’Egitto) potrebbe essere uno sviluppo più significativo. Del conflitto a fuoco, al momento in cui scrivo, non si sa molto. L’Egitto dice che la sparatoria è stata aperta dai militari israeliani, Israele sostiene il contrario (ed è la versione più ragionevole, perché Israele non ha nessun interesse a suscitare un conflitto del genere). Sembra che da parte egiziana ci sia stato un ferito e un caduto, nessuna vittima fra gli israeliani.

    Le ipotesi
    Le ipotesi sulle ragioni di quel che è successo possono essere parecchie. Può essere stato un incidente casuale, dovuto a incomprensione, come ne sono capitati alcuni negli anni scorsi. Può esserci stato un militare egiziano fanatico e deciso a fare la guerra agli infedeli: anche questo è successo, per esempio poco più di un anno fa nel Negev, con due vittime israeliane. Può essere stato un segnale dei contrabbandieri beduini che dominano il Sinai e non sono contenti della presenza israeliana che disturba i loro affari.

    Una scelta del regime egiziano
    Tutte queste ipotesi sono ragionevoli e tutto sommato tranquillizzanti, non implicano problemi gravi per Israele. Ma poi ce n’è un’altra che invece preoccupa. L’incidente può essere stato voluto e provocato dalla dirigenza egiziana. Naturalmente bisogna chiedersene il perché. Una ragione può essere che il presidente egiziano Al Sisi abbia voluto dare soddisfazione alla “piazza” egiziana, che almeno dai tempi di Nasser è fortemente anti-israeliana. Bisogna ricordare che l’Egitto è stato il nerbo delle forze arabe che si sono scontrate con Israele nelle guerre fra la fondazione di Israele e la guerra del Kippur. Il fatto di averle perse tutte è una ferita nell’orgoglio nazionale che ancora chiede vendetta. L’Egitto è inoltre la sede principale della Fratellanza Musulmana, di cui Hamas è una filiale. Al Sisi è andato al potere con un colpo di stato che ha abbattuto il potere della Fratellanza, ma essa è ancora forte e non si possono conoscere naturalmente gli accordi più o meno taciti che ha negoziato col regime. Bisogna ricordare anche che Sadat è stato ucciso da un islamista per aver fatto un trattato di pace con Israele e Al Sissi non vuole certo subire la stessa sorte di questo suo predecessore. La pace con Israele è sempre stata gelida, e certamente mostrare di essere disposti a scontrarsi con “gli ebrei” può aiutare il regime, che soffre una grave crisi economica e sociale anche a causa del quasi blocco che gli Houti hanno imposto al traffico nel canale di Suez.

    Il contrabbando
    Infine vi è la pista più probabile, quella del contrabbando di stato egiziano. Si sa per certo che c’è un fiorente mercato degli ingressi in Egitto per gli arabi di Gaza, che pagano ciascuno molte migliaia di euro per superare il confine ufficialmente chiuso. Ne sono passate finora alcune centinaia di migliaia: un business gigantesco gestito dalle autorità militari locali, fra cui sembra anche il figlio di Al Sisi. Ma c’è di peggio. In questi mesi di guerra è emerso che Hamas era molto meglio armato di quanto si potesse pensare o potesse derivare dal normale contrabbando beduino. Nei primi giorni di presenza israeliana sul confine sono emersi oltre 50 tunnel di contrabbando fra l’Egitto e Gaza. È evidente che una decina di anni fa quando Al Sisi fece allagare alcuni tunnel di contrabbando, stava facendo una sceneggiata e che il contrabbando è continuato sotto il controllo dei suo e dei suoi militari. Insomma, Hamas ha un accordo strutturale di qualche tipo con l’Egitto, magari pagato in qualche modo dal Qatar o dall’Iran. Una settimana fa è emerso che nelle trattative per gli ostaggi i mediatori egiziani avevano fatto un doppio gioco alle spalle di tutti per incastrare Israele in un accordo a favore di Hamas. È possibile che questi scontri indichino il fastidio egiziano per la scoperta del doppio gioco. È un problema serio, perché l’esercito egiziano si è molto rafforzato negli ultimi anni e con l’accordo israeliano ha potuto ignorare le clausole del trattato di pace che smilitarizzavano il Sinai. Ora, con il pretesto della lotta al terrorismo, gli egiziani hanno potuto allestire un apparato militare importante a ridosso di tutto il lungo confine con Israele, da Gaza fino a Eilat. Se decidessero che gli conviene unirsi al fronte che appoggia Hamas, sarebbe un bel problema. Ma si tratta di uno sviluppo improbabile. L’Egitto ha molto da perdere, sul piano militare, economico e diplomatico in uno scontro vero con Israele. Forse quel che è successo è un avvertimento e un segnale di fastidio, di cui Israele naturalmente dovrà tenere il debito conto.

    CONDIVIDI SU: