
La compagna di demonizzazione
A partire dal 7 ottobre 2023, ma in sostanziale continuità con gli anni e i decenni precedenti, Israele è stato oggetto della più grande e accanita campagna di demonizzazione e delegittimazione nella storia della politica internazionale. Non c’è stata mai al mondo guerra di aggressione, campagna coloniale, oppressione di popoli, invasione o repressione interna che abbia suscitato gli insulti e l’odio che sono stati propagandati contro Israele in questi due anni. L’autodifesa di uno Stato aggredito a freddo con bombardamenti missilistici da sette fronti e con l’invasione di terroristi che hanno assassinato più di un migliaio di persone, tutte quelle che sono riuscite a raggiungere, ne hanno rapite 250, violentato moltissime donne, massacrato neonati, rapinato villaggi, devastato case e hanno continuato fino a oggi a fare tutto il male che potevano è diventata una colpa dell’aggredito. Le tattiche di guerra che cercavano di salvaguardare i civili in un difficilissimo ambiente urbano sono state etichettate come genocidio. Lo sforzo, mai visto in nessuna guerra, di portare continui rifornimenti alla popolazione sebbene essi fossero rapinati dall’esercito nemico, è stato dipinto al contrario come uso militare della fame. La precauzione di avvertire i civili dei luoghi degli attacchi per salvaguardarli è rappresentato come pulizia etnica. Gli attacchi attentamente mirati per colpire solo i terroristi sono stati falsificati come strage dei bambini, riecheggiando antiche calunnie antisemite.
Il successo della propaganda
Questa aggressione è opera innanzitutto della propaganda diretta o finanziata dall’Iran e dalla Fratellanza Musulmana di cui Hamas è il braccio in terra di Israele; ma essi sono stati ripresi con grande intensità dalla grande stampa, dalle televisioni, dai politici soprattutto di sinistra, da parte della Chiesa e sono stati largamente diffusi in rete dai social media, tanto che ormai l’idea delle “atrocità” israeliane, del “genocidio dei palestinesi”, della “strage dei bambini” è ormai un luogo comune difficilissimo da contestare, anche se del tutto infondate. Di questo straordinario e terribile fenomeno politico-mediatico si dovrà occupare a lungo la storia politica e anche quella delle comunicazioni di massa.
L’analisi di Ferretti
Per ora, contro la massa di libri che rilanciano la demonizzazione di Israele e dello Stato ebraico, bisogna segnalare l’eccezione dell’analisi sommaria perché spinta dall’urgenza ma efficace, penetrante e precisa costituita dal libro di Niram Ferretti “Maledetto Israele”, in uscita in questi giorni da Liberilibri, con introduzione di Giuliano Ferrara e postfazione di chi scrive. Ferretti è uno scrittore e giornalista quotidianamente impegnato nella difesa di Israele, soprattutto con la sua rivista online “L’Informale”. Il titolo del suo libro è evidentemente provocatorio, ma rispecchia bene il clima di questi giorni. Ferretti vi analizza i meccanismi della demonizzazione, ritrae i personaggi principali di questa operazione, documenta le tappe e le radici ideologiche e religiose della lotta comunicativa contro Israele, quella “valanga propagandistica” che ha sommerso la politica e l’informazione in tutto l’Occidente. È un libro breve ma importante, proprio perché si concentra su questa feroce campagna comunicativa.
Un compito davanti a noi
Bisogna ammettere infatti che su questo piano i nemici di Israele, pur sconfitti sul terreno, stanno vincendo, perché hanno saputo sfruttare l’odio di sé di una parte della politica e della quasi totalità degli intellettuali e dei giornalisti del mondo libero. Questo libro è un’occasione per chiedersi che cosa si può fare per controbattere questo suicidio dell’Occidente, sfruttato con cinismo dagli islamisti per combattere Israele. La fine della guerra con la chiara vittoria di Israele che si avvicina probabilmente farà tacere le manifestazioni più estreme dell’odio contro gli ebrei e il loro Stato. Ma le cose non andranno a posto da sole. Bisogna chiedersi già oggi come far sì che questo attacco non continui e si intensifichi, come vorrebbero gli islamisti e i loro sostenitori occidentali.