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    Cucirsi un futuro: la storia della famiglia di Adela

    “La storia di mia nonna Adela, costretta insieme alle sorelle a cucire abiti per le mogli dei nazisti, mi ha sempre fatto riflettere sull’enorme e crudele abisso che vi era tra la vita degli ebrei nel ghetto e quella al di fuori di esso”, spiega la stilista israeliana Galit Freiman Levi. Così, presentando una foto di famiglia del periodo antecedente la Seconda Guerra Mondiale, Galit inizia a raccontare come i vestiti e l’abilità della nonna siano riusciti a salvare un’intera famiglia.

    Botosani, Romania. XIX secolo. Moshe Leib Kalmanovich, un sarto ebreo, riuscì ad aprire una fabbrica tessile per abiti maschili. Nonostante la sua iniziale opposizione alla storia d’amore tra la figlia Sarah e uno dei cittadini, Yitzhak Abramovich, Moshe decise di prendere sotto la sua ala Yitzhak, promettendogli un posto nell’azienda e la mano della figlia, ma non prima di aver studiato fashion design a Parigi. Una volta rientrato dalla città della moda, Yitzhak e Sarah si sposarono ed ebbero 7 figli, la più grande dei quali, Dora, andò, esattamente come il padre, a studiare moda. Dora trasmise le sue conoscenze stilistiche anche alle sorelle Adela e Yehudit e, successivamente, fondò una linea di moda femminile, in particolare di abiti da sera di alta moda, diventati conosciuti in tutta la Romania.
    Tuttavia, questo bel sogno finì quando, con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, le fabbriche vennero chiuse e la famiglia venne rinchiusa nel ghetto della città. Le sorelle Abramovich riuscirono a salvarsi proprio per la loro abilità nel cucito, realizzando giorno e notte abiti da festa per le mogli dei nazisti in un piccolo laboratorio. Come ricompensa del duro lavoro, le sorelle ricevevano quotidianamente razioni di cibo e impedirono la deportazione del resto dei membri della famiglia nei campi di sterminio.

    Molte storie durante la Shoah sono iniziate e, fortunatamente, non terminate nel mondo degli abiti. Il racconto di Adela è solo una dimostrazione, come quella dei laboratori del ghetto di Lodz, di come la capacità manuale e il settore tessile abbiano aiutato molti ebrei a “cucirsi” un futuro a loro portato via.

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