Skip to main content

Ultimo numero Maggio – Giugno 2025

Scarica il Lunario

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    NEWS

    La cultura come strumento per unire le diversità

    Intervista a Smadar Bar Akiva, Executive Director di JCC Global

    Qual è la sua mission con JCC Global?
    JCC significa Jewish Community Center, ed è una rete di oltre mille centri comunitari ebraici sparsi per il mondo, il cui scopo è quello di mettere in contatto gli ebrei tra loro, di rafforzare quello che chiamiamo appunto il “jewish peoplehood”, cioè creare iniziative culturali per consolidare le realtà ebraiche nel globo.

    Perché pensa che sia così importante promuovere la crescita culturale delle comunità ebraiche?
    La cultura è un ottimo modo per unire le persone. All’interno del JCC la definizione di ebreo va anche oltre la religione e la filosofia. Ha a che fare con i valori, con la cultura, con l’etnia e con la storia. E la cultura è un ottimo ponte per unire le diversità. Oggi uno dei problemi che abbiamo nelle comunità ebraiche nel mondo, è che le persone hanno una certa ideologia o un certo credo, e a volte si perde la capacità di dialogo. Con l’arte e la cultura, invece, è possibile riunire le persone e sviluppare la fiducia reciproca. Ad esempio, se si trattano argomenti attraverso uno spettacolo teatrale, musica o danza, si è più disposti ad affrontare le differenze.

    Percepisce che le istituzioni ebraiche capiscano questa necessità?
    Credo di sì. Nonostante il mondo sia cambiato a causa della guerra, la cultura rimane ancora un elemento fondamentale dell’identità delle istituzioni ebraiche.

    L’8 Giugno la CER andrà alle urne per votare la sua prossima leadership. Come sarebbe per lei una leadership ideale?
    Nell’ebraismo esiste un concetto fondamentale: “Chadesh yamenu kekedem”, cioè mantenere la tradizione ma rinnovarla. Ciò significa dire: fare le cose nuove come una volta, ma non nelle modalità come una volta. Quindi, da un lato, la leadership ebraica deve essere legata alla tradizione e al passato, ma deve anche guardare al futuro con coraggio, strategia e spirito di adattabilità.

    Quali sono le sfide più urgenti secondo lei?
    Oltre alla drammatica ondata di antisemitismo dal 7 Ottobre che ci ritroviamo a combattere, esistono altre sfide all’interno delle comunità. Ad esempio, purtroppo i dati in Europa ci raccontano una realtà di cui bisogna prendere consapevolezza, nonostante non sia facile farlo: la popolazione ebraica sta diminuendo demograficamente, e non possiamo permetterci di ignorare la questione. Credo sia una delle sfide più importanti, ed il primo passo è innanzitutto riconoscerlo. Allo stesso tempo però, stiamo anche vedendo una forte ondata di cittadini israeliani che si trasferiscono in Europa, e a mio parere è fondamentale creare un legame con questa nuova realtà. Inoltre, sempre più spesso percepiamo un disinteresse da parte dei giovani in merito alle tematiche inerenti alle comunità, anche questa è una sfida importante che deve essere affrontata con urgenza.

    I giovani spesso si allontanano dalle dinamiche comunitarie perché sono contesti troppo politici. Crede che sia possibile avere una comunità ebraica che sia neutrale in campo politico?
    Non credo. Non si può non essere politici. Tutto è politico. Ma quello che è fondamentale è avere un Consiglio Comunitario che condivida il più possibile gli ideali e la visione del futuro, e che abbia ben chiaro quelle che sono le linee rosse che non si possono superare. Quindi sicuramente la politica influisce, ma l’importante è avere una strada comune da percorrere e che si sia in grado di guidare la comunità. I giovani sono uno specchio fondamentale per capire qual è il futuro della comunità, ed è fondamentale trovare il modo di coinvolgerli il più possibile.

    Quale crede sia la chiave per coinvolgere i giovani e la comunità?
    Trasparenza. A volte nelle comunità tutto è a porte chiuse, e oggi non funziona. Bisogna essere trasparenti nel bilancio e nei processi decisionali. È vero, questi processi a volte richiedono più tempo ed ovviamente sarebbe più facile se tre persone decidessero tutto, però facendo così si allontana la gente, ed è invece importante che le persone si sentano incluse. È una questione di impegno, perché oggi siamo molto più concentrati su noi stessi, sul nostro mondo e sui social media, e possiamo chiuderci in noi stessi. Ma nella realtà le persone cercano di più le connessioni personali, perché creano legami e continuità.

    Che consiglio darebbe alla prossima leadership della comunità?
    Di non dimenticare le persone. Ascoltare è fondamentale, come lo è anche organizzare iniziative e creare opportunità per tutte le età.

    CONDIVIDI SU: