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    L’impegno verso una memoria che cambia nella Lectio magistralis di Dina Porad

    Declinare la necessità di parlare
    di Shoah con le nuove generazioni attraverso nuovi canali. Da questa idea si è
    aperta la Lectio magistralis della Professoressa israeliana Dina Porad, che ha
    avuto luogo mercoledì 19 ottobre presso la Casina dei Vallati, nel cuore del
    Portico D’Ottavia. “Holocaust Remembrance Today”: come fare didattica
    della Shoah oggi e soprattutto come preservare tutto l’enorme patrimonio
    accademico del passato. Dina Porat, fondatrice del “Kantor Centre for the study of Contemporary European Jewry” (Tel Aviv University), ha offerto
    molti spunti di riflessione sui grandi temi dei nostri tempi: la conservazione
    della Shoah, i cambiamenti che la memoria affronta e soprattutto il
    negazionismo oggi. A moderare l’evento il Dr. phil. habil. Lutz Klinkhammer
    vicedirettore, referente per la Storia contemporanea dell’Istituto Storico
    Germanico di Roma. L’evento è nato dall’esigenza di riflettere sui cambiamenti,
    le tendenze e i processi del discorso scientifico della Shoah soprattutto in
    prospettiva globale e futura. “L’imperativo è sempre ricordare ciò che è stato,
    specialmente attraverso i giusti tra le nazioni. Personalmente, non conosco
    niente di più umano di rischiare la vita per gli altri” ha detto l’Ambasciatore
    d’Israele in Italia Alon Bar.  “Abbiamo
    accolto circa 65 mila studenti italiani durante l’ultimo evento con Sami
    Modiano in occasione della Giornata della Memoria” ha invece spiegato Mario
    Venezia, Presidente della Fondazione Museo della Shoah, prima dell’intervento
    della Professoressa Porad. “Abbiamo purtroppo ricevuto qualche commento
    spiacevole, ma molti, moltissimi commenti pieni di affetto da questi ragazzi,
    questo ci ha dimostrato quanti portante sia creare un contatto tra la didattica
    della Shoah e le nuove generazioni”.

    Partendo da come la memoria della
    Shoah sia stata nel tempo tutelata dalle istituzioni come musei e università,
    la riflessione si è spostata sul come raccontare oggi la storia e trasmetterla
    alle nuove generazioni. “Fare ricerca, scrivere, insegnare questo è un modo di
    preservare la Shoah, sebbene oggi la situazione sia molto più complicata – ha
    detto la Professoressa nel corso del suo intervento – Guardiamo ad esempio alla
    società israeliana: abbiamo ancora molti sopravvissuti in Israele oggi, tra
    coloro che erano in fuga dall’Europa dopo la Shoah e coloro che fuggirono
    dall’ex Unione Sovietica. Cosa accade alla memoria della Shoah nelle seconde e
    terze generazioni? Molti di loro non amano le cerimonie istituzionali, e
    vediamo sempre più spesso come i giovani prediligano altri canali. Cerimonie
    alternative nella quale si esprimono in maniera più dinamica, originale e
    creativa. Scrivono libri, fanno film, producono video; hanno anime sensibili e
    sebbene sia una memoria diversa rispetto al passato, finché ricorderanno
    andranno bene anche questi nuovi canali” ha condiviso col pubblico la
    Professoressa.

    Si è proseguito riflettendo su
    quanto i social possano essere dunque strumenti interessanti per la
    divulgazione della Shoah, specialmente quando questi interessano i più giovani.
    Che sia Instagram o Tik Tok fin tanto che la memoria è attendibile è
    preservata, allora anche questi mezzi possono rivelarsi utili per fini
    didattici. Una memoria unica ma che si coniuga in modi diversi, come
    nell’esempio portato dall’accademica circa la popolazione ortodossa in Israele
    (che rappresenta circa il 10% degli israeliani oggi) molti di loro non pensano
    che la Shoah possa considerarsi un evento isolato, ma che in realtà la storia
    ebraica sia fondamentalmente un susseguirsi di momenti di persecuzione,
    traducibili in prove che D. sottopone all’uomo. 
    Così, anche questo rappresenta una chiave di lettura per insegnare la
    Shoah alle nuove generazioni. Inoltre, si è parlato di un’altra realtà facente
    parte della società israeliana moderna, ovvero gli arabi israeliani.  Molti di questi vedono la Shoah, e la sua
    didattica in maniera piuttosto negativa, in quanto si identificano con le
    “nuove vittime” oggi. “Sebbene non ci sia solo questo aspetto da parte degli
    arabi. Un cambiamento importante, che proviene dagli accordi di Abramo, ha
    contribuito ad una maggiore accettazione della Shoah da parte delle popolazioni
    arabe e questo lo dimostra anche la prima delegazione araba, che circa 10 anni
    fa, visitò il campo di Auschwitz” ha spiegato Porad.

    “Oggi esiste purtroppo una
    competizione tra chi è più vittima delle altre. Sebbene la definizione HIRA sia
    stata adottata da moltissime istituzioni, molti continuano ad usarla senza
    neppure menzionare l’antisemitismo. Qual è dunque la situazione della negazione
    della Shoah oggi? 
    Per una serie di fattori la
    negazione della Shoah sta soffrendo, i numeri calano, ma è il negazionismo a
    subire una metamorfosi, perché la Shoah viene continuamente distorta anche a
    causa delle nuove generazioni. C’è una tendenza crescente alla distorsione
    della storia facendo passare i carnefici da vittime” ha sottolineato
    concludendo la Prof. Porad. Per proteggere la Shoah ci vuole impegno, ma anche
    la volontà di aprirsi ai cambiamenti che la didattica mette in atto, perché, sebbene
    modellata attraverso nuovi canali e voci, la memoria ha ancora il diritto di
    non essere negata.

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