
Per la prima volta dal 7 ottobre, le Nazioni Unite si apprestano a includere Hamas nella “blacklist” dei gruppi che utilizzano la violenza sessuale come arma di guerra. Stando a quanto si apprende da alcuni media, la decisione arriva dopo la pubblicazione del “Progetto Dinah” dell’Università Bar-Ilan, che ha raccolto e documentato decine di testimonianze di stupri, aggressioni sessuali e mutilazioni intenzionali, commesse sia durante il massacro del 7 ottobre sia contro ostaggi tenuti prigionieri a Gaza.
Il rapporto, guidato dalla professoressa Ruth Halperin-Kaddari, dall’ex giudice Nava Ben-Or e dall’ex procuratrice militare capo dell’IDF, colonnello (ris.) Sharon Zagagi-Pinhas, è frutto di un’indagine meticolosa. Le prove raccolte includono testimonianze di sopravvissuti, interviste a 17 testimoni diretti o indiretti, colloqui con terapeuti che hanno seguito le vittime e racconti di 15 ostaggi liberati. I fatti documentati descrivono una strategia sistematica e premeditata di violenza sessuale usata come strumento tattico da Hamas in almeno sei località, tra cui il festival Nova, il kibbutz Nir Oz e la base di Nahal Oz.
Il nome del progetto richiama Dinah, la prima vittima di stupro menzionata nella Bibbia, e la sua missione è “dare voce a chi non può più parlare”. Grazie alla solidità delle prove, il segretario generale António Guterres presenterà al Consiglio di Sicurezza, il 19 agosto a New York, la nuova versione del rapporto annuale sulla violenza sessuale nei conflitti, includendo finalmente Hamas nella lista degli autori.
Fonti vicine al dossier sottolineano che questa è una vittoria della verità e della serietà del lavoro investigativo: “Quando l’indagine è rigorosa, l’ONU non può ignorarla”.
La mossa dell’ONU rappresenta un passo significativo verso il riconoscimento internazionale della brutalità di Hamas e della natura terroristica e disumana delle sue azioni. Per Israele, è anche un’opportunità per riaffermare la propria netta differenza: uno Stato di diritto che combatte il terrorismo e che, a differenza dei suoi nemici, non fa della violenza gratuita contro i civili un’arma di guerra.