
I tre commissari della Commissione d’Inchiesta Permanente delle Nazioni Unite contro Israele – Navi Pillay, Miloon Kothari e Chris Sidoti – hanno annunciato congiuntamente le proprie dimissioni. Le motivazioni ufficiali parlano di “età, problemi di salute e impegni personali” nel caso di Pillay, mentre Kothari ha fatto riferimento a un’intesa privata con il presidente del Consiglio ONU per i Diritti Umani. Tuttavia, ciò che stupisce sono state le dimissioni in blocco e la coincidenza temporale con le recenti sanzioni statunitensi contro Francesca Albanese.
A detta di molti osservatori, si tratta di un segnale di svolta nella lunga battaglia contro i bias strutturali delle istituzioni ONU nei confronti dello Stato ebraico. Secondo Hillel Neuer, direttore di UN Watch, “questa settimana i pezzi stanno cadendo come tessere del domino. La Commissione d’Inchiesta Permanente non è mai stata un’indagine imparziale: era una macchina costruita per attaccare Israele e proteggere Hamas, Hezbollah e l’Autorità Palestinese”. Neuer ha definito la Commissione “un’inquisizione travestita da giustizia internazionale” e ha chiesto che non venga rimpiazzata, ma definitivamente smantellata.
Tutti e tre i commissari dimissionari sono stati oggetto, nel corso del loro mandato, di accuse di antisemitismo o gravi pregiudizi contro Israele.
Nel 2022, Miloon Kothari aveva messo in dubbio il diritto di Israele a far parte delle Nazioni Unite e aveva evocato stereotipi antisemiti su un presunto controllo ebraico dei media. Tali dichiarazioni erano state condannate da 18 Stati membri, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Germania e Francia.
Chris Sidoti ha più volte minimizzato la questione dell’antisemitismo, arrivando a dichiarare al Consiglio per i Diritti Umani nel 2023 che “le accuse di antisemitismo vengono lanciate come il riso ai matrimoni”. Nel 2025 ha equiparato gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas a “palestinesi ostaggi” nelle carceri israeliane, mettendo sullo stesso piano vittime innocenti e terroristi condannati.
Navi Pillay, già Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, è stata tra i volti più noti del controverso processo di Durban, noto per la sua deriva antisemita. A ottobre 2023, pochi giorni dopo il massacro del 7 ottobre, la Commissione da lei presieduta aveva messo in dubbio il diritto all’autodifesa di Israele e accusato lo Stato ebraico di “vendetta”. In un’intervista ad Al Jazeera, Pillay aveva giustificato l’uso della violenza da parte dei gruppi armati palestinesi come “lotta obbligata”. Anne Bayefsky, direttrice del Touro Institute on Human Rights and the Holocaust, ha definito Pillay “una delle figure più diaboliche nella storia dei diritti umani internazionali”, accusandola di aver “trasformato l’intera Commissione in uno strumento di propaganda antisemita” e di aver dato copertura politica a gruppi terroristici come Hamas. “La narrativa della Commissione è sempre stata che la colpa di tutto ricade su Israele, anche quando gli ebrei vengono massacrati”, ha aggiunto.
Le dimissioni in blocco dei tre commissari aprono una crisi all’interno del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, da tempo accusato di ostilità sistematica contro Israele. La Commissione d’Inchiesta Permanente era stata creata nel 2021 all’indomani del conflitto con Hamas, con un mandato illimitato e con l’obiettivo di indagare non solo su eventi specifici, ma sull’intero conflitto israelo-palestinese, a partire dal 1948. Un’anomalia nel panorama delle inchieste ONU, che aveva fatto sollevare critiche sin dalla sua istituzione. Secondo UN Watch, “non basterà sostituire i commissari dimissionari per ripristinare credibilità: è il mandato stesso della Commissione a essere viziato. Serve una riforma strutturale, oppure la sua abolizione”.