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    Purìm Ashrif: quando un’epidemia salvò le sorti di Tripoli

    Come a Purim gli ebrei si salvarono dal perfido Amman che aveva decretato la loro morte, così a Purim Ashrif si ricorda il tentativo fallito del terribile Ibrahim Ashrif di uccidere il popolo di Tripoli. Raffaele Sassun, ebreo di origine tripolina, ha raccontato a Shalom questo passo della storia. 

    Il fatto risale al 1705, quando il sovrano d’Egitto inviò dei doni al Re di Tunisi attraverso una nave che, a causa di una tempesta, fu costretta a rifugiare sulle coste di Tripoli. Quando attraccò, il suo contenuto venne saccheggiato dai predoni al soldo del governatore Kalil Beii.

    Furiosa, la Tunisia inviò un’armata di diecimila soldati, guidati da Ibrahim Ashrif, per vendicarsi dell’oltraggio. Inutili furono le richieste di pace e la mediazione del suo sottoposto Ahsan Ben Ali, che tentò di convincerlo a desistere in cambio di un lauto compenso. Ashrif mantenne l’ordine di ucciderli tutti. 

    Nonostante ciò, Tripoli riuscì a tenere testa al conflitto rafforzando le torri e chiamando i soldati a raccolta, compresi gli ebrei. Impossibilitato a fare breccia “Ashrif scatenò le armate sui villaggi vicini e, oramai critica la situazione, il Rabbino Yosef Agib decretò per tutti gli ebrei un digiuno e la preghiera”.

    L’assedio durò qualche mese, fin quando l’esercito tripolino non impartì un attacco a sorpresa che colpì duramente quello di Ashrif. Non solo, l’elevato numero di morti causò addirittura lo scoppio di un’epidemia nell’accampamento tunisino, compromettendolo definitivamente. Ashrif venne infine sconfitto e fu costretto alla ritirata. 

    “Il giorno in cui scappò era un lunedì, il 23 di Tevet. Gli ebrei furono parte attiva della resistenza e della vittoria e questo giorno fu dichiarato di festa e chiamato Purim Ashrif”. La popolazione lo chiama anche “Purim Kidebuni”, il “falso”, per distinguerlo da quello tradizionale di Ester.

    In ricordo di quel giorno, in passato si era soliti fare un pasto gioioso e ridurre la giornata di lavoro. “Ad oggi si usa fare tzedakà e, al Beth Shmuel di Roma, usiamo mangiare le sfenze con l’uovo dopo la tefillà di Shachrit, un momento di convivialità e di allegria”.


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