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    Scrivere del 7 di ottobre non equivale ad analizzare, a ricordare, a valutare un momento del passato ebraico. È oggi una contrazione su un pensiero ancora inarticolato come può esserlo quello che pretende di abbracciare un cielo notturno, è una riflessione che contiene molte più domande che risposte, un lamento che somiglia troppo al pianto stupefatto dopo un pogrom, dopo la Shoah. Ma io scrivo da Israele, la patria degli ebrei che vive e combatte. Quindi comincio alla rovescia: che cosa ho nelle mani di positivo, di inaspettato, dopo il lutto sconfinato e il disgusto che generano la barbarie e le sue stragi? Solo pochi giorni fa ho visto alla tv ragazzi e ragazze che vanno ad arruolarsi, diciottenni che fino a due ore fa giocavano coi tasti del telefonino, richiamati da genitori a un po’ di attenzione per il mondo, un po’ di lettura, di valori! Ma ecco: come giovani leoni hanno risposto a tutte le domande sui loro perché, sui motivi che li portano a chiedere un’unità “cravì”, combattente, nell’esercito. Alcuni hanno la kippà, i riccioli laterali, altri non ce l’hanno per niente e non potrebbero esserne più lontani. Le ragazze hanno magliette corte e scollate, oppure sono vestite con gonne lunghe e calze scomode nel calore estivo, e vanno a combattere in unita delle forze aeree e nei carri armati. Ho visto negli ospedali ragazzi che hanno perso gli arti che vogliono tornare sul campo a combattere coi loro compagni. Sono tutti sionisti, parola bellissima nel senso in cui lo definiva la dichiarazione d’indipendenza del 1948: un popolo che ha il diritto sacrosanto ad autodefinirsi, come qualsiasi altro; il popolo ebraico che vive a casa sua e ne difende senza finzioni ideologiche i confini, proprio perché ha un’identità nazionale e territoriale indubbia. Come farebbe qualsiasi altra persona che non neghi il diritto all’autodeterminazione, base della libertà. Sono pronti a morire per questo, e non a parole, purtroppo. Ogni giorno, dal 7 di ottobre abbiamo visto i funerali di figli, mariti, fratelli, e solo il coraggio delle madri e delle mogli che ne parlano seppellendoli, magari tenendo in braccio bambini di pochi mesi, è paragonabile all’audacia con cui si sono sacrificati per i loro compagni e l’hanno detto chiaramente prima di partire, persino scritto. Ognuno era un insegnante, un guidatore d’autobus, un medico, un esperto di high-tech, un cantante… La teoria delle loro morti dal 7 di Ottobre ci lascia vuoti, senza la loro indispensabile compagnia; ma ci hanno riempito di un messaggio che non cade, non spaventa, ma viene raccolto e vola su quella incredibile, fantastica creazione che è il 76enne stato d’Israele. Sono i ragazzi del 1948, come appena tornati dal campo di concentramento finalmente a casa e gettati in battaglia, che oggi si battono per far tornare a casa i rapiti nelle mani dei mostri.
    Questa massa di giovani leoni, che saranno anche la prossima classe dirigente, e che sanno che l’essere ebrei è la ricchezza che crea anche la democrazia parte integrante del sionismo, è il fondamento di un mondo nuovo che deve nascere dal 7 di Ottobre. Abbiamo sbagliato molto, quell’errore comprende le nostre caratteristiche e quelle del nemico. Il nemico non l’abbiamo voluto conoscere fino in fondo: l’abbiamo immaginato simile a noi, ci siamo illusi che la promessa di una società tranquilla, fiorente, in cui gli arabi, i palestinesi avrebbero potuto crescere in libertà e indipendenza i loro figli fosse la sua vera ambizione. Per questo, abbiamo offerto senza sosta “due stati per due popoli”. Anche se tutti i libri di testo e i gesti dei loro leader creavano sempre di più un immenso schieramento ostile all’occidente, arabo e islamico (l’Iran di Khomeini) in cui i bambini a tre anni vengono già indottrinati a odiare gli ebrei: ma noi abbiamo fatto patti, sgomberi… Non ci siamo convinti dell’intenzione di distruggere Israele neppure quando dopo gli accordi di Oslo e l’offerta di Camp David, Arafat ha scatenato la seconda Intifada; neppure quando dopo lo sgombero di Gaza si è stabilita una dittatura omicida e nazista. Neppure quando abbiamo visto da lontano Hamas costruire solo gallerie per i terroristi e armi, e nemmeno una fabbrica, una Università, una vera fattoria, una vera scuola.
    Anche su noi stessi abbiamo proiettato un film presuntuoso, in cui la quantità di odio e l’accumulo di armi non avrebbe mai potuto contrastare il nostro grande valore tecnologico; abbiamo disprezzato le informazioni che avevamo perché non ci dicevano altro che l’umile verità della preparazione artigianale di un colossale attacco barbarico. La nostra immagine di noi stessi, onnipotenti e liberali, ci ha alla fine condotto alla contemplazione inerte di ciò che nemmeno potevamo immaginare: il male, come dice Kurtz in “Cuore di tenebra”. Il massimo della barbarie, di fronte al quale poi abbiamo messo in campo un esercito che ha il più alto codice di comportamento del mondo e che dipende da alleanze disegnate quando non si pensava che servissero tanto, che avrebbe dovuto andare diritto a Rafah e al confine con l’Egitto, presso lo “tzir Philadelphi”, da cui hanno seguitato a entrare e uscire armi e uomini di Hamas in questi dieci mesi. Al nord, intanto, gli Hezbollah ci hanno dato la dimostrazione di come l’Iran stringa il suo nodo intorno al nostro confine esiliandone la nostra popolazione, e anche gli Houti hanno contribuito dal lontano Yemen, mentre dietro le quinte siriana e irachena la Russia e la Cina sovrintendono. Dunque, quello che io vedo dal 7 di Ottobre è un’immensa battaglia incompresa che Israele combatte per tutti con la sua fede e il suo amore per la vita nonostante tutto; la guerra c’è, è là è inevitabile, tutto il gran richiedere un cessate il fuoco sembra più una contrazione psichica abitudinaria che una realtà. Gli Ayatollah, Sinwar, Nasrallah, non concederanno il cessate il fuoco, preferiscono la fine del mondo, ed è bene si impari che la Shia proprio questo predica: l’avvento dell’Islam con in testa il Mahdi che verrà a consegnargli il potere; e così anche Hamas, che è invece sunnita, e che nella sua carta scrive che anche i sassi indicheranno gli ebrei e tutti gli infedeli da uccidere. La guerra contro l’Occidente non è fra due civiltà, è della barbarie contro la civiltà. Noi, coi nostri piccoli, stanchi ma indomiti leoni la conduciamo dal 7 Ottobre per tutti.

    ISRAELE

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    Cultura

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    ISRAELE

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    Cultura

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    ISRAELE

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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

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