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    “Campi estivi”
    Da due giorni è iniziata una grossa operazione delle forze armate di Israele in Giudea e Samaria, incentrata finora sul nord di quest’ultima regione, in particolare su Tulkarem, una città di 65 mila abitanti vicinissima alla linea armistiziale del 1949, nella zona in cui essa è più vicina al mare, a meno di 20 chilometri da Netanya. L’operazione è una parte della guerra in corso, ma è abbastanza importante da meritare un nome proprio, “campi estivi”. Per capirne la ragioni bisogna considerare la situazione del conflitto.

    Sette fronti
    Si parla spesso di una guerra fra Israele e Hamas o di una “guerra di Gaza”, ma ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che la strage a tradimento compiuta il 7 ottobre dell’anno scorso dai terroristi di Hamas e della Jihad Islamica, seguita dalle devastazioni e dagli eccidi compiuti anche dai “civili innocenti” usciti dalla striscia di Gaza, è stata solo il primo colpo di una guerra voluta dall’Iran con l’obiettivo della distruzione dello stato ebraico. Questa guerra, oltre ai fronti politico, diplomatico, legale e propagandistico, assale Israele da sette linee di attacco: Gaza innanzitutto, dal sud; i missili di Hezbollah. dal nord; i bombardamenti degli Houti dallo Yemen, dal sud-est; quelli che vengono dalla Siria al nord-est e dall’Iraq a Est, il terrorismo interno degli arabi israeliani, che per fortuna questa volta è stato molto raro; quello che viene dai sudditi dell’Autorità Palestinese in Giudea e Samaria.

    I pericoli dal territorio dell’Autorità Palestinese
    Quest’ultimo fronte è per certi versi il più pericoloso, perché è il più vicino e il più permeabile. La barriera di separazione fra Israele e territori amministrati dall’Autorità Palestinese, molto tortuosa, è lunga circa 730 chilometri, spesso è solo un recinto elettronico; essa è in parte incompleta e viene spesso superata clandestinamente da lavoratori illegali e talvolta da terroristi. Le distanze sono tali che lo sparo di razzi anche non avanzati dalle alture della Samaria sulle città del centro di Israele, a partire da Tel Aviv, o sull’aeroporto Ben Gurion, oppure dalle parti di Ramallah a Gerusalemme, concederebbe ai bersagli solo pochissimi secondo di preavviso per mettersi al riparo. Le città arabe sono per lo più labirinti tortuosi difficili da penetrare. L’Autorità Palestinese, che dovrebbe avervi la sovranità, ha da sempre rinunciato al monopolio dell’uso delle armi che sono una caratteristica degli stati moderni, accettando la presenza di gruppi terroristici e in generale appoggia con la scuola, i mezzi di comunicazione, ma anche con la complicità pratica di tutte le sue istituzioni, il terrorismo. Spesso si scopre che i quadri terroristi sono suoi funzionari e in particolare membri delle sue polizie. Il rischio di un nuovo 7 ottobre a partire da queste località è molto alto. Un rischio concreto che i soliti appelli “pacifisti” a partire da quello del segretario dell’Onu Guterres al solito ignorano.

    Gli interventi esterni
    Insomma le zone della Giudea e Samaria controllate dall’Autorità Palestinese sono focolai di terrorismo. Israele è dovuto intervenire molte volte per bloccare il pericolo, con operazioni anche molto massicce, come durante la cosiddetta “seconda Intifada” del 2000-2002, quando di qui arrivavano a decine nelle città israeliane gli attentatori suicidi. Solo grazie a questi interventi queste zone non si sono trasformate in qualcosa di equivalente a Gaza, ma molto più grave per le dimensioni e le ragioni appena esposte. Hamas investe pesantemente sulla popolazione araba dell’Autorità Palestinese e i sondaggi rivelano che vi gode di una popolarità altissima. Anche la Turchia vi si è messa da tempo al lavoro per promuovere una piattaforma islamista, ma soprattutto l’Iran ha iniziato a importarvi armi avanzate e terroristi addestrati. Di conseguenza i militari dell’esercito e delle forze di confine, guidate da servizi di informazione che in questo caso funzionano molto bene, non hanno mai smesso di intervenire quando giungeva notizia dello sviluppo di bande terroristiche pronte ad agire localmente e nel territorio israeliano vero e proprio.

    L’operazione attuale
    Negli undici mesi trascorsi dal 7 ottobre vi sono state decine di interventi locali, soprattutto a Jenin (altra località del nord della Samaria, investita anche in questi giorni), con l’uso di forze travestite, ma anche di schieramenti corazzati e di appoggi aerei, che hanno eliminato alcune centinaia di terroristi, scoprendo depositi e fabbriche di armi ed esplosivi spesso nei sotterranei di moschee, scuole e ospedali. L’operazione in corso fa parte di questa serie, investendo una località, Tulkarem, che finora non era emersa alla cronaca, ma che di recente è stata all’origine di numerosi attentati, fra cui quello ultimamente fallito a Tel Aviv. Finora è stata eliminata una dozzina di terroristi legati a Hamas, una decina è stata arrestata. Tra gli eliminati c’è anche Muhammad Jaber, detto “Abu Shujaa”, pericolosissimo capo della rete nel “campo profughi” del sobborgo di Tulkarem di Nur Shams, coinvolto in numerosi attacchi terroristici. L’operazione continua.

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