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    Nella notte Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, è stato ucciso a Teheran, dove si trovava per il giuramento del nuovo presidente della repubblica islamica, Masoud Pezeshkian. Fonti vicine ad Hamas e ai pasdaran parlano di un attacco aereo, probabilmente un drone. Morta anche una guardia del corpo. Questo evento rappresenta un ulteriore passo significativo nel conflitto mediorientale, che va oltre il mero confronto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza e si sviluppa su più fronti. Quali saranno i prossimi passi chiaramente non è ancora possibile stabilirlo, ma si può tracciare il profilo politico di Haniyeh per capire quali fossero le sue posizioni, presunte moderate, e cosa significhi la sua morte.
    Haniyeh era nato il 29 gennaio 1963 nel campo profughi di Al-Shati a Gaza. Ha studiato nelle scuole dell’Unrwa e si è laureato in letteratura araba all’Università islamica di Gaza. Ha iniziato la sua carriera politica in stretta collaborazione con il fondatore di Hamas, Sheikh Ahmed Yassin, di cui è stato anche segretario personale. Negli anni ’80 e ’90 e stato più volte nelle carceri israeliane. Un curriculum che gli è valso un’ascesa nelle gerarchie del movimento terroristico.
    Nel 2003 Israele tentò di ucciderlo insieme al suo mentore; Yassin fu eliminato l’anno successivo. “Non dovete piangere”, disse allora Haniyeh a una folla davanti all’ospedale al Shifa a Gaza City. “Preparatevi alla vendetta”.
    Fu nominato leader di Hamas nella Striscia nel 2006; in quell’anno salì alla ribalta internazionale dopo la vittoria elettorale di Hamas nella Striscia, quando divenne primo ministro del governo di unità nazionale. Questa esperienza ebbe però la durata solo di alcuni mesi, visto che fu interrotta dal violento colpo di stato e da una cruenta guerra civile con cui gli stessi terroristi di Hamas eliminarono Fatah da Gaza. Dal 2014 al 2017 è stato capo dell’amministrazione della Striscia di Gaza. Nel 2017 è stato eletto capo dell’ufficio politico di Hamas, prendendo il posto di Khaled Meshaal, mentre al comando del gruppo a Gaza gli successe Yahya Sinwar: il ruolo sempre più apicale nelle gerarchie politiche del movimento lo ha reso uno dei leader più influenti, tanto da renderlo nel corso degli anni anche protagonista di varie negoziazioni e conflitti con Israele, incluse le trattative durante il conflitto degli ultimi mesi.
    In questi anni, in virtù del suo ruolo, Haniyeh ha lasciato la Striscia e si era stabilito tra il Qatar, a Doha, dove Hamas ha la sua sede politica, con frequenti sortite nella Turchia di Erdogan, a cui lo lega la vicinanza ai Fratelli Musulmani. In questi anni di residenza all’estero ha potuto condurre una vita agiata, che gli ha procurato alcune critiche anche dai palestinesi stessi.
    Nonostante la sua vicinanza ai Fratelli Musulmani (sunniti), era interlocutore anche dell’estremismo sciita: curava l’alleanza con l’Iran, tanto che nel gennaio 2020 partecipò al funerale del generale Qassem Soleimani, il capo della forza Quds dei Guardiani della rivoluzione, ucciso dagli Stati Uniti; da quel momento le sue visite a Teheran furono sempre più frequenti, a conferma dell’alleanza tra Hamas e Iran, nota da tempo a intelligence e analisti ma fino ad allora non sancita pubblicamente. Nell’ottobre 2022 incontrò anche il presidente siriano Bashar Assad, stretto alleato di Teheran. Il legame con la repubblica islamica è stato testimoniato una volta di più dal recente soggiorno, volto a partecipare alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente Masoud Pezeshkian.

    Il 7 ottobre 2023 ha celebrato e benedetto gli attacchi terroristici che hanno devastato il sud di Israele, con oltre mille morti, feriti, devastazioni e il rapimento di più di 250 ostaggi. Nei mesi successivi è stato tra i principali artefici dei negoziati con Israele per il rilascio dei rapiti: incarnava la linea più “moderata”, rispetto all’ala militare guidata da Sinwar, ma la moderazione nel contesto terrorista di Hamas è un concetto relativo, tanto che Haniyeh non ha esitato a ribadire più volte che il “sangue dei palestinesi” era necessario alla “causa”.
    La sua eliminazione implica la fine di un leader terrorista e apre nuovi scenari nel contesto mediorientale, dove Israele deve fronteggiare diversi nemici che hanno il comune denominatore nell’Iran che dello Stato ebraico vuole la distruzione.

     

    Nella foto al centro, Haniyeh gioisce dopo la strage del 7 ottobre

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