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    Si inaugurerà il 20 settembre presso la Casina dei Vallati a Roma la mostra “Il viaggio più lungo. La deportazione ad Auschwitz degli ebrei di Rodi e Kos”, curata da Marcello Pezzetti, storico di fama internazionale e uno dei massimi esperti della Shoah. L’esposizione, organizzata per commemorare l’ottantesimo anniversario della deportazione degli ebrei di Rodi, offre l’opportunità di esplorare uno degli episodi più dolorosi e meno conosciuti della Shoah, con un approccio che sfida apertamente ogni forma di negazionismo.
    La mostra, realizzata grazie alla collaborazione del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC) e sostenuta da numerosi enti istituzionali, si fonda su documenti inediti ritrovati presso il Bundesarchiv di Friburgo. “Abbiamo trovato una documentazione tedesca meticolosa – racconta Marcello Pezzetti – che permette di comprendere la portata esatta della deportazione degli ebrei di Rodi, trattati come merce”. I registri tedeschi elencavano in modo agghiacciante i carichi delle navi: animali, pezzi di ricambio, soldati, ebrei, tutti ridotti a numeri. Grazie a queste fonti, oggi si può stimare che furono circa 1.750 gli ebrei da lì deportati, un dato che permette di misurare con esattezza la dimensione della tragedia.

    Rodi, 1936. Prima elementare della Regia scuola Maschile. Il piccolo Samuel Modiano è il quarto da
    sinistra della seconda fila dall’alto. A causa delle Leggi razziali, Sami viene espulso. Potrà
    frequentare solamente, la scuola appositamente istituita dalla comunità ebraica della città
    nell’edificio della Scuola Dell’Alliance Israélite Universelle. Archivio Privato Samuel Modiano

    Uno degli aspetti più toccanti dell’esposizione è la presentazione di tre video, ciascuno di oltre 40 minuti, che raccolgono testimonianze inedite di sopravvissuti ebrei di Rodi, registrate negli anni ’90 per il progetto L’Archivio della Memoria. “Queste testimonianze ci restituiscono l’umanità e la mitezza delle persone che furono vittime di una violenza così brutale” afferma Marcello Pezzetti. Molti dei sopravvissuti intervistati sono italiani che vivevano all’estero, principalmente in Israele, Belgio e Stati Uniti, e i loro ricordi ci conducono in una realtà ancora poco conosciuta.
    Tra i testimoni di spicco figura Sami Modiano, che parteciperà all’inaugurazione. Il suo racconto offre uno sguardo diretto sulle atrocità subite durante il lungo e tormentato viaggio verso Auschwitz. È impressionante pensare che questa deportazione avvenne quando ormai la guerra era persa per i nazisti, poiché, come osserva lo storico, “i campi di sterminio come Majdanek erano stati liberati e le prove dello sterminio erano evidenti. Eppure, con estrema brutalità, i nazisti decisero comunque di procedere alla deportazione di questi ebrei, costringendoli a un viaggio interminabile e dolorosissimo”.

    Sami e Selma Modiano. Fondazione Museo della Shoah. Fondo Sami Modiano

    Il percorso espositivo si snoda in tre grandi sale, dove fotografie d’epoca, documenti e una mappa interattiva illustrano nel dettaglio la storia dei deportati. Il viaggio iniziò il 23 luglio 1944, quando furono stipati su una nave sovraffollata, costretti a restare nelle stive per giorni durante una tempesta. Così, dopo aver raggiunto il porto del Pireo, furono ammassati su treni per Auschwitz, in un viaggio ancora più lungo e devastante. Tra le testimonianze più sconvolgenti, emerge quella di Sami Modiano, che ricordava l’orrore di dover gettare in mare i corpi di coloro che non sopravvissero alla traversata: alcuni desideravano che i propri cari morissero prima, per risparmiar loro la sofferenza del viaggio.
    La mostra include anche un’area interattiva che permette di approfondire la storia degli ebrei di Rodi attraverso risorse digitali, e offre un toccante omaggio a quattro deportati – Joseph Varon, Rahamin Cohen, Rosa Hanan e Sami Modiano – che, dopo la liberazione, scelsero di vivere a Roma. Queste biografie ci raccontano come, nonostante tutto, molti ebrei italiani decisero di rimanere legati al proprio Paese. “Gli ebrei di Rodi si sentivano profondamente italiani – sottolinea Marcello Pezzetti – e per questo, dopo la guerra, molti di loro decisero di non tornare in Grecia, ma di stabilirsi in Italia o di cercare una nuova vita altrove”. Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah, ha sottolineato l’importanza della mostra: ” ‘Il viaggio più lungo’ non è solo una commemorazione, ma uno spazio di riflessione collettiva sul valore della memoria, sulla sua fragilità e sull’importanza di preservarla. Conoscere la storia di ogni singola comunità colpita è un modo per difendere l’umanità da oblio e indifferenza”. La mostra sarà aperta al pubblico dal 20 settembre 2024 al 7 gennaio 2025, offrendo un’opportunità unica per approfondire un capitolo della Shoah che, nonostante la sua tragicità, è rimasto per troppo tempo nell’ombra.

    Rodi, fine anni ’30. Rachele Capelluto ( 1935-1944) e le sorelle gemelle Giulia Gioia e Fortunata
    (1938-1944), deportate ad Auschwitz insieme ai genitori, Salvatore e Norma Menascè. Non ritorna nessuno. Fondazione CDEC, Archivio storico – Patrimonio fotografico, Fondo Esther Menascé

    Foto copertina: Ostia, 1946. Raduno di giovani rodioti sopravvissuti ad Auschwitz. Da sinistra, Albertico Levi, Giacomino Hasson, Victor Hasson, Samuel Modiano, Eliezer Surnami, Peppo e Joseph Cordoval, Giuseppe Conè, Ner Alhadeff e Peppo Hasson. Fondazione Museo della Shoah. Fondo Sami Modiano

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