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    Le agitazioni
    Un grave problema di antisemitismo di massa è esploso nelle università americane, in particolare in quelle di élite. Il centro delle manifestazioni è in questo momento la Columbia University di New York, dove da qualche giorno la piazza centrale è occupata da un studenti. Manifestazioni analoghe si svolgono alla New York University e alla New School, sempre a New York, e poi al celebre Massachusetts Isntitute of Technology (MIT), a Yale, alla Brown University, all’università del Texas ad Austin, alla University of Southern California a Los Angeles, all’università del Michigan e in molti altri istituti superiori. In alcuni di questi atenei è stata chiamata la polizia, che è intervenuta sgomberando le tende erette dagli studenti e facendo decine di arresti (ma quasi tutti gli occupanti sono stati subito rilasciati). Altrove, come alla Columbia, le direzioni degli atenei sono sostanzialmente complici con i manifestanti e si rifiutano di chiamare la polizia, magari togliendo la possibilità di accesso per i loro professori ebrei, com’è successo in un caso emblematico proprio alla Columbia per il professore Shai Davidai, eloquente critico delle manifestazioni cui è stato bloccato il tesserino elettronico che assicura l’ingresso al campus, “per garantire la sua sicurezza”.

    Le violenze
    Il movimento si è esteso anche a diverse università canadesi e naturalmente influenza anche ciò che avviene in Europa. Gli slogan sono particolarmente violenti, proclamano vicinanza a Hamas, invocano “non uno, non dieci, cento o mille, ma diecimila 7 ottobre”, invocano la distruzione dello stato di Israele, “Palestina araba dal fiume al mare”, l’uccisione dei soldati israeliani e hanno l’obiettivo pratico di imporre alle università di interrompere i rapporti con quelle israeliane, di disinvestire i loro fondi dall’economia israeliana, di bloccare ogni relazione con le imprese che riforniscono l’esercito israeliano. Oltre alla violenza verbale e alle minacce, vi sono stati atti di violenza fisica vera e propria: cordoni per impedire agli studenti ebrei l’accesso in università, assalti ai centri ebraici. A New York ha fatti rumore il caso di una studentessa ebrea indifesa ferita a un occhio col palo di una bandiera. Il rabbino della Columbia University ha invitato gli studenti ebrei a lasciare il campus per la loro stessa incolumità. La direzione dell’ateneo ha deciso di trasferire online tutte le lezioni per ragioni di sicurezza.

    Le reazioni politiche
    Tutta questa agitazione è molto grave e rischia di avere conseguenze pesanti per due ragioni principali. La prima è che gli Usa sono i principali alleati di Israele, che il movimento ha un orientamento politico di sinistra e dunque coinvolge l’elettorato democratico e indirettamente la presidenza in un anno elettorale e che infatti mentre i repubblicani sono intransigenti in difesa della libertà degli studenti ebrei, i democratici ostentano indulgenza coi manifestanti, temendo soprattutto che si ripetano le durissime proteste che segnarono la loro convenzione elettorale del 1968 a Chicago (dove si svolgerà anche quest’anno), portando alla loro sconfitta. La seconda ragione è il fatto che quasi metà degli ebrei al mondo vivono negli Usa, che New York è la città al mondo in cui vivono più ebrei. Sono famiglie che in parte riuscirono a sottrarsi alla Shoah fuggendo negli Usa, in parte vi portarono il ricordo del genocidio, considerandolo un luogo sicuro, eventualmente insidiato solo dall’estrema destra. Il fatto che proprio in ambienti vicini al partito democratico per cui hanno sempre votato, nelle università in cui hanno fatto i più grandi sforzi per entrare, si sviluppi un movimento non solo anti-israeliano, ma chiaramente antisemita, tanto da far dire a parecchi che ricorda gli anni Trenta in Germania, è profondamente scioccante.

    Le cause
    Il fatto è che il 7 ottobre non è stato solo in sé un attacco efferato, il più terribile atto terroristico da decenni. Esso ha anche messo davanti agli occhi di tutti due grandi problemi che minacciano il popolo ebraico: il primo è il piano dell’Iran per distruggere Israele e compiere una nuova Shoah; complesso, articolato, preparato nei dettagli e con moltissime risorse. È una minaccia spesso spiegata di cui erano emersi molti preparativi e atti preliminari. Ma oggi chiunque sia in buona fede deve ammettere che Israele è costretto a battersi per la propria sopravvivenza. Il secondo problema ha invece sorpreso quasi tutti: la presenza in Occidente e in particolare negli Usa e in Europa di un antisemitismo che sembrava essere stato definitivamente sconfitto dopo la Shoah e soprattutto il suo emergere non nei minuscoli e trascurabili ambienti nostalgici e ultraconservatori, ma fra i “progressisti” e in particolare negli ambienti più colti e influenti come le università (il costo annuale dell’iscrizione a un’università come Columbia sta oltre i 50 mila dollari). La responsabilità di questo antisemitismo universitario è in buona parte dei professori, in particolare di quelli delle materie umanistiche che ormai da decenni non interpretano il loro ruolo come ricerca e insegnamento dei fatti ma come indottrinamento al “politicamente corretto” e propaganda per la distruzione della società occidentale. Che gli ebrei, tradizionali custodi della libertà, e che Israele, il luogo in cui gli ebrei esercitano in pratica e difendono quando occorre questa libertà, siano diventati il loro nemico come lo era il popolo ebraico per il nazismo, può non sorprendere. Ma costituisce una delusione terribile per chi credeva che l’ebraismo si identificasse col progressismo e soprattutto è un pericolo molto grave, anche per il futuro.

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