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    L’anno 5784 si apre con due importanti anniversari a cifra tonda. Quello che ricorda un avvenimento relativamente più recente (ma sono già 50 anni, mezzo secolo!) è la guerra del Kippùr. Dopo la cocente sconfitta del 1967, le nazioni arabe cercarono una rivincita e dopo sei anni scatenarono un’offensiva travolgendo le linee israeliane che si erano attestate nella riva occidentale del canale di Suez. A nord i siriani attaccarono sul Golan. Gli egiziani approfittarono del giorno di Kippùr per scatenare l’attacco, che fu inizialmente vincente. Ci vollero diversi giorni perché gli israeliani prendessero in mano e capovolgessero le sorti del conflitto, che fu sanguinoso e mise in crisi un sistema precario di certezze. La guerra portò a un capovolgimento politico in Israele e gettò le basi per la pace con gli egiziani di qualche anno dopo. La guerra prese il nome dal giorno in cui era iniziata, Kippùr, e fu anche un modo per far conoscere al mondo non ebraico l’esistenza e l’importanza di quel giorno per gli ebrei. Come succede per avvenimenti storici importanti e decisivi, molti conservano il ricordo di come appresero la notizia, dove stavano e come reagirono. Per moltissimi ebrei nella diaspora la notizia li raggiunse a metà giornata del Kippùr, spesso dentro le sinagoghe affollate, aggiungendo una vivissima preoccupazione alla solennità di quelle ore, con la mente che andava da altre parti. In Israele è rimasta nella memoria l’incredibile situazione del Kippùr con i riservisti richiamati di corsa, delle sirene, delle radio accese per le notizie allarmanti.

    La guerra del Kippùr porta il nome di una ricorrenza ebraica ed è rimasta a questa strettamente legata. Se pensiamo all’altro anniversario che ricorderemo in questi giorni, l’ottantesimo del 16 ottobre del 1943, che ha interessato gli ebrei romani, vediamo subito uno scenario differente: che la data è civile, che non c’è nessun riferimento a tradizioni ebraiche, come se tutto si svolgesse in un’atmosfera che riguardava le persone e non la loro religione. Eppure gli avvenimenti romani di quei due primi mesi di occupazione nazista si incrociarono con il calendario ebraico in forma drammatica e sembra che solo in tempi più recenti queste circostanze siano state citate. Propongo questo schema, che dubito sia mai stato presentato:

    I livelli di osservanza delle tradizioni erano in quegli anni a Roma molto differenti da quelli attuali, ma la partecipazione alle funzioni sinagogali festive non era calata, anzi da alcune testimonianze sembra fosse aumentata dai tempi delle leggi razziali. Per motivi prudenziali le funzioni del Tempio maggiore furono sospese poco dopo l’arrivo dei nazisti a Roma ed erano i giorni delle selichòt. La taglia dell’oro fu consegnata il pomeriggio del giorno precedente Rosh hashanà e questo forse dette a molti un senso di sicurezza e di scampato pericolo alla vigilia dell’anno nuovo. Non ci furono funzioni pubbliche né a Rosh hashanà né a Kippur al Tempio maggiore, e la capienza dello Spagnolo, nei sotterranei, e del Tempio dell’Isola era molto limitata. Il saccheggio delle biblioteche avvenne il primo giorno di Sukkòt. Il rastrellamento degli ebrei romani ci fu due giorni dopo, di sabato (“il sabato nero”) terzo giorno di Sukkòt. Non ci sono notizie, ma è verosimile che la tradizionale sukkà nel cortile del Tempio maggiore non fosse stata costruita.

    Tutta la vicenda della deportazione, la partenza del treno e il suo viaggio si svolse nei giorni di Sukkòt. I vagoni piombati arrivati a Birkenau vennero aperti la mattina dello Shabbàt successivo, che era Shabbat Bereshit e la gassazione di circa 800 deportati avvenne più tardi in quello stesso giorno. Gli anniversari si dovrebbero ricordare nella data della morte delle persone, quindi il 24 di tishrì, il giorno dopo Simchàt Torà, che qualche volta, come nel 1943, coincide con Shabbàt Bereshit, ma questo non sembra sia stato fatto almeno a livello collettivo. È vero che la notizia precisa della data la si è saputa solo dopo anni, ma non risulta l’istituzione di una cerimonia, di un izkòr in quel giorno; a differenza di quanto si fa per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, che viene ricordato civilmente il 24 marzo, ma celebrato anche in data ebraica, nell’ultimo giorno di Adàr.

    Gli eventi dell’occupazione nazista furono un’offesa all’umanità ma anche all’ebraismo e alle sue tradizioni. La prima circostanza è stata ed è rimasta al centro dei ricordi e delle dovute celebrazioni. La seconda è stata quasi cancellata. C’è da chiedersi il perché di questo meccanismo tanto selettivo della memoria.

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