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    Una fase complessa
    La fase attuale della guerra di Gaza è molto complicata e difficile da capire: l’esercito israeliano continua a combattere soprattutto con operazioni speciali per eliminare i terroristi che agiscono di nascosto, ma allo stesso tempo prepara l’operazione per liberare l’ultimo grosso centro controllato da Hamas e cioè Rafah, dove probabilmente sono nascosti i capi terroristi e sono anche tenuti prigionieri come scudi umani gli israeliani rapiti. Contemporaneamente sono ripartiti i colloqui per uno scambio fra rapiti e terroristi detenuti, che implica una tregua che dovrebbe sospendere proprio l’operazione a Rafah, come cercando del resto di ottenere gli Usa. Nel frattempo prosegue la guerra leggera al nord, fra puntate israeliane e lanci di razzi.

    Il progetto per “il giorno dopo”
    In questo contesto ieri c’è stato uno sviluppo significativo. Fra le azioni che l’amministrazione Biden ha intrapreso per “bilanciare” a favore dei palestinesi la vittoria di Israele c’è stata la richiesta insistita che lo stato ebraico dettagliasse i suoi progetti ha per “il giorno dopo”. È una richiesta che non si fa mai in guerra, perché qualunque risposta ha l’effetto di legare le mani al vincitore o di minacciare le sue alleanze. Ma il governo israeliano deve cercare di minimizzare gli scontri con Biden, che pensa soprattutto a non scontentare la sinistra democratica in vista delle elezioni e dunque Netanyahu ha ufficializzato al gabinetto di guerra di venerdì la posizione israeliana sull’esito della guerra, anche se in una maniera che certo non soddisfa l’amministrazione americana. Il piano inizia stabilendo la condizione per la fine della guerra: Israele continuerà a combattere fino a raggiungere i suoi obiettivi, cioè la distruzione militari e politica di Hamas e della Jihad islamica, il ritorno dei rapiti e la rimozione di ogni minaccia alla sicurezza dalle comunità circostanti.

    A medio termine
    Israele dovrà mantenere la libertà di operare in tutta la Striscia per prevenire la rinascita dell’attività terroristica, come fa in Giudea e Samaria. Netanyahu prevede la “completa smilitarizzazione di Gaza… al di là di ciò che è necessario per le esigenze di mantenimento dell’ordine pubblico”. La dichiarazione non cita direttamente l’Autorità Palestinese e quindi non esclude esplicitamente la sua partecipazione alla gestione di Gaza dopo la guerra. Dice però che gli affari civili a Gaza dovranno essere gestiti da “personalità locali” con “esperienza amministrativa”, con la condizione che non siano legati a “paesi o entità che sostengono il terrorismo”. Ciò significa escludere qualunque complice di Hamas, della Jiahd Islamica, dell’Iran, ma anche dell’Unrwa che ha appoggiato il terrorismo e dell’Autorità Palestinese che paga gli stipendi ai terroristi catturati o le pensioni alle famiglie di quelli morti. In sostanza si allude ai capi delle tribù del territorio, secondo un’ipotesi sostenuta da Mordechai Kedar. Dato il coinvolgimento di numerosi dipendenti dell’Unrwa nelle atrocità del 7 ottobre, Israele lavorerà poi per sostituire del tutto l’agenzia con “organizzazioni umanitarie internazionali responsabili”. Israele inoltre promuoverà anche un “piano di de-radicalizzazione… in tutte le istituzioni religiose, educative e assistenziali di Gaza”. Questo obiettivo sarà promosso “il più possibile con il coinvolgimento e l’assistenza dei paesi arabi che hanno esperienza nella promozione della de-radicalizzazione” e consentirà l’inizio della ricostruzione di Gaza solo dopo il completamento della smilitarizzazione della Striscia e l’inizio del “processo di de-radicalizzazione”. “Il piano di riabilitazione sarà finanziato e guidato da paesi accettabili per Israele”.

    Il territorio
    Netanyahu ha quindi detto che per garantire la sicurezza delle comunità intorno alla Striscia, Israele intende stabilire una zona cuscinetto inutilizzabile dagli abitanti, situata all’interno del confine della Striscia. Per quanto riguarda il confine tra Gaza e l’Egitto, Israele imporrà una “chiusura” al contrabbando per impedire la rinascita dell’attività terroristica. La chiusura dovrà essere realizzata con l’assistenza degli Stati Uniti e in collaborazione con l’Egitto “per quanto possibile”. Inoltre Israele manterrà il controllo di sicurezza “su tutta l’area a ovest della Giordania”, cioè di Giudea e Samaria “per impedire il rafforzamento degli elementi terroristici e contrastare le minacce da loro verso Israele”. Il piano si conclude riaffermando i principi adottati nei giorni scorsi sia dal gabinetto che dalla Knesset: Israele rifiuta qualsiasi diktat si voglia imporgli per un accordo permanente con l’Autorità palestinese; esso potrà essere raggiunto solo attraverso negoziati diretti tra le parti, senza precondizioni. Un altro principio è che Israele continuerà ad opporsi al riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese, che considera un “regalo per il terrorismo”.

    ISRAELE

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