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    È il giorno di Liliana Segre. Siede sullo scranno più alto di Palazzo Madama, la senatrice più anziana dell’emiciclo, quella bambina che nel ’38 era considerata italiana di serie B, esclusa da scuola per le leggi razziste, poi nemmeno più una persona durante l’occupazione nazista quando fu deportata ad Auschwitz. 

    Si attendeva il discorso e non poteva che essere un monito per la XIX legislatura che si apre. Cita la Costituzione, Liliana Segre, cita le feste che fino adesso sono state considerate divisive, il 25 aprile, il primo maggio, il due giugno, che invece devono diventare un patto tra generazioni. “Le grandi nazioni dimostrano di essere tali anche riconoscendosi coralmente nelle festività civili- dice Segre – ritrovandosi affratellate attorno alle ricorrenze scolpite nel grande libro della storia patria. Perché non dovrebbe essere così anche per il popolo italiano? Perché mai dovrebbero essere vissute come date ‘divisive’, anziché con autentico spirito repubblicano, il 25 Aprile Festa della Liberazione, il Primo Maggio Festa del Lavoro, il 2 Giugno Festa della Repubblica? Anche su questo tema della piena condivisione delle feste nazionali, delle date che scandiscono un patto tra le generazioni, tra memoria e futuro, grande potrebbe essere il valore dell’esempio, di gesti nuovi e magari inattesi”.  

    Segre traccia poi un quadro post voto. “Le elezioni del 25 settembre hanno visto, come è giusto che sia, una vivace competizione tra i diversi schieramenti che hanno presentato al Paese programmi alternativi e visioni spesso contrapposte. E il popolo ha deciso. È l’essenza della democrazia”. E qui arriva il passaggio sul rispetto delle istituzioni. “La maggioranza uscita dalle urne ha il diritto-dovere di governare; le minoranze hanno il compito altrettanto fondamentale di fare opposizione. Comune a tutti deve essere l’imperativo di preservare le Istituzioni della Repubblica, che sono di tutti, che non sono proprietà di nessuno, che devono operare nell’interesse del Paese, che devono garantire tutte le parti”. 

    Ma sono sempre i valori della Resistenza e dell’antifascismo la base del discorso di Segre che cita anche Giacomo Matteotti. “In Italia il principale ancoraggio attorno al quale deve manifestarsi l’unità del nostro popolo è la Costituzione repubblicana che, come disse Piero Calamandrei non è un pezzo di carta, ma è il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà; una lotta che non inizia nel settembre del 1943 ma che vede idealmente come capofila Giacomo Matteotti”. 

    Ed è proprio sulle riforme costituzionali, già annunciate dal centrodestra in senso presidenzialista, che Segre avverte: no a salti in avanti, no a colpi di maggioranza. “Il popolo italiano ha sempre dimostrato un grande attaccamento alla sua Costituzione, l’ha sempre sentita amica. In ogni occasione in cui sono stati interpellati, i cittadini hanno sempre scelto di difenderla, perché da essa si sono sentiti difesi. E anche quando il Parlamento non ha saputo rispondere alla richiesta di intervenire su normative non conformi ai principi costituzionali – e purtroppo questo è accaduto spesso– la nostra Carta fondamentale ha consentito comunque alla Corte costituzionale ed alla magistratura -conclude Segre- di svolgere un prezioso lavoro di applicazione giurisprudenziale, facendo sempre evolvere il diritto”.

     

    Subito dopo la votazione, il Senato elegge presidente dell’Assemblea, seconda carica dello Stato, con 116 voti il parlamentare di Fratelli D’Italia Ignazio La Russa che porge a Liliana Segre un mazzo di rose bianche durante il passaggio di consegne. La Russa promette di essere il presidente di tutti. “Sono stato un uomo di partito, non di parte. Non lo sarò in questo ruolo”. Sulle riforme, però, La Russa spiega che non bisogna temerle. “Bisogna provare a realizzarle insieme. E al Senato può spettare il via alla necessità di aggiornare – non la prima parte che è intangibile – ma quella parte della Costituzione che dia più capacità di dare risposte ai cittadini e di appartenere alla volontà del popolo”. 

    Ma nell’emiciclo resta ancora l’eco degli applausi e della standing ovation alla fine del discorso di apertura della legislatura di Liliana Segre.

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