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    L’altra sera ho fatto un sogno. Mi sono ritrovata in una bella mattinata di queste invernali, assolate ma fredde, a prendere un cappuccino ad un tavolino del Bar Totò. Leggevo un libro e nel frattempo mi scaldavo al tepore del fungo perché anche se era una bella giornata, sempre freddo faceva visto che siamo a febbraio. A un certo punto, ho notato un signore che sembrava essere spuntato fuori dal passato. Aveva un cappotto di cammello, un cappello a tesa larga, le scarpe duilio e un completo gessato. Stranamente si stava dirigendo proprio verso il mio tavolino dove io, avvolta nel mio piumone indispensabile per il motorino, con scarpe da ginnastica e jeans, mi sentivo inadeguata a ricevere una persona così elegantemente vestita.

    “Senti, ‘n po’, roscetta, mi hanno spifferato che vorresti fa quarcosa co’ li sonetti mia”. Mi è preso un colpo. “Ma era solo un’idea”, ho risposto senza troppa convinzione. “Se la cosa, vi offende – ho subito optato per il voi – possiamo finirla qui”. “Ajo capi’ mejo quello che voi fa’”. “L’idea era di rendere giustizia a tutte le storie raccontate nei vostri sonetti, renderle comprensibili e attualizzarle per il giorno d’oggi”. “E che giorno sarebbe oggi?”. “Siamo nel 2022”. “E perché hai ‘sta mascherina?”. “Anche nel 2022, è in corso un’epidemia che stiamo sconfiggendo…”. Ma lui mi ha fermato subito: “Vabbe’ come ‘a Spagnola”. Avrei voluto ribattere che non era così, che adesso abbiamo i vaccini, ma francamente dovevo arrivare al punto, ovvero alla delibera… “Permettete allora un’intervista, qualche domanda, sapete sono giornalista”. Pensavo di colpirlo, una giornalista donna, all’epoca sua… e invece… “Vabbe’ come Matilde Serao”. “Magari”, ho risposto sommessamente. “Vorrei capire se l’idea vi interessa”. “Ma ‘sti racconti, chi li leggerebbe? Mo’ me stai a di’ che i gnevrimmi (ovvero gli ebrei per chi abita fuori da Portico D’Ottavia ndr) nun capischeno più er giudaico-romanesco?” “Questo francamente, non credo, alcuni certamente sì, ma i più giovani, non saprei… E comunque vorremmo scrivere questi raccontini per illustrare la vita di Piazza (piazza Giudia per chi abita … ndr) anche agli altri abitanti della città, anzi della nazione. “Roscetta, sei ambiziosa, eh”. “Prendete un cappuccino?” “Vabbe’”. “E magari un cornetto?” “E che d’è? So’ corna?”. “No, è una brioche dolce”. “Vada pe’ ‘sto cappuccino e ‘sto cornetto”. 

    “Come si definirebbe oggigiorno?”. “Io so’ jodìo romano e so’ romano de li tempi de l’antichi”. Mi metto a scrivere appunti, mentre il cameriere ci porta il cappuccino e il cornetto. “Ecco toglierei jodìo”. “E perché?”. “Oggi si direbbe sono un ebreo romano e sono romano dai tempi antichi. Giudio verrebbe considerato dispregiativo per il politically correct”, replico. “Che sarebbe ‘sto politically insomma quello che hai detto? Che lingua è?”. “Ah, mi scusi, è inglese. Significa politicamente corretto, ma prosegua”. “Io so’ jodìo romano – aridalle penso ma non lo dico – e so’ romano de tempo de li tempi de l’antichi quanno che se magnaveno li fichi e ancora ‘un ze parlava montisciano”. “Sui fichi, nulla da eccepire, forse sul monticiano… non si capisce”, cerco di buttarla lì. “Rosce’, nun ajo capito se ce fai o ce sei”. “No, sapete, l’editore. Insomma, io capisco ciò che volete dire, il monticiano era il dialetto per eccellenza di Roma e il giudaico romanesco era precedente all’influsso toscano che arriva con il Rinascimento… ma non so se tutto questo oggigiorno è comprensibile”. Lui sorseggia il cappuccino e se ne frega. Continua imperterrito. “Io parlo com’allora: e quel ch’è strano, la gente me ce burla! E par che dichi: Me li saluti ‘sti romani antichi cor naso a becco e ‘n feravecchio i’ mmano?” Sospiro. Il naso a becco… vabbe’ anche in Asterix, i romani sono rappresentati con il naso a becco, proseguiamo. “Continuate, Sor Crescenzo, continuate”. “Ae visto Giuglio Cesare e Pompeo! Aio passato guai co’ Vespasiano e fu da allora ch’ai strillato: aèo”. Un punto di vista storico, su cui non ho nulla da eccepire. In fondo, non è stato Vespasiano a intraprendere la guerra giudaica, non è stato Tito a distruggere il Tempio? Il mio problema è un altro… come posso tradurre aèo? Guardo sul vocabolario (era questo il libro che stavo consultando ndr): antico grido dei rigattieri girovaghi. Mi rendo conto che il poeta sta aspettando una mia reazione. “Mi scusi, Sor Crescenzo, continuate”. “Ma co’ ‘st’ aèo, aio potuto véde tanti casi scasati’ amman’ ammano, e intànt io, grazziaddio, stae sempre ‘n piede”. Questa è facile, ho visto case dimesse, ma io sto sempre in piedi. 

    “Penso si possa fare”, mi accingo a dire, “anche se qui come vedete, non ci sono più case scansate, ormai è un quartiere di movida”. “Scusa, Roscetta, de che?”. “Be’ è un quartiere alla moda, sapete, adesso vengono da tutto il mondo a visitarlo. È mattina, ma tra un po’ i ristoranti apriranno e arrivano i turisti per mangiare kasher”. “Cioè vengono a magna’ cacere?”. “Sì, kasher, appunto, anzi kosher”. “Me fa piacere, eh. Quindi me stai a dì che adesso semo benvoluti, accettati, addirittura ammirati?”. “Be’ non è proprio così, ma tante cose sono cambiate”. “Er Papa c’è sempre in Vaticano?”. “Sì, va pure in tv, una sorta di radio moderna”. “Er Re? Chi è l’erede de Pippetto? “No, non c’è più, adesso siamo una Repubblica”. “E come mai?”. “È una lunga storia, diciamo che da quando voi avete lasciato questo mondo, molte cose sono successe che avremmo preferito non accadessero ma che abbiamo l’obbligo di ricordare”. “Peggio dei tempi der Papa Re?” “Molto peggio, ma grazie a Dio, come dite voi, Sor Crescenzo Del Monte, stiamo sempre qui e stiamo sempre in piedi”.   

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