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    Ricordare significa richiamare alla memoria il passato. Ma poiché è “passato”, ripensandolo oggi, ecco che subito si trasforma. Sul quel “passato” si sono accumulati strati di vita vissuta, di memorie già ricordate, di storie dimenticate e – quindi – perse. 

    Ricordare, piuttosto, è un lavoro di riassemblaggio. Lo stesso processo che si ritrova nei collage fotografici e nelle installazioni di Vera Vladimirsky, laureata in Fotografia alla Bezalel Academy of Art & Design di Gerusalemme, e appena insignita del “Lauren and Mitchell Presser Photography Award for a Young Israeli Artist”. 

    “Documentare un luogo non mi basta. Devo smontarlo, e poi rimontarlo”, spiega l’artista, nata nel 1984 in Ucraina e immigrata in Israele nel 1991, dove oggi vive e lavora, a Tel Aviv. Come parte del premio, il più prestigioso ricevuto fino ad oggi da Vladimirsky, i suoi lavori saranno esposti in una mostra personale al Tel Aviv Museum of Art, alla fine del 2022. “Sono estremamente grata di questo riconoscimento. Stiamo lavorando al concept con il curatore”, racconta a Shalom. 

    Passato, architettura e natura sono gli elementi ricorrenti nei lavori di Vera. Sono le lenti attraverso cui osserva il mondo che la circonda, fin da quando era bambina, in Ucraina. Nel progetto “The Last Apartment”, Vladimirsky è tornata nei 26 appartamenti in cui ha vissuto, per brevi e lunghi periodi. “Fotografavo gli interni in quelli che potevo. A volte, soprattutto in Ucraina, scattavo solo dall’esterno. Dopo così tanto tempo, erano passati 20 anni, non sapevo se i nuovi inquilini si sarebbero sentiti a disagio. Né sapevo se mi sarebbe piaciuto bussare alla loro porta”, ha spiegato in un’intervista a Erka Shalari per Les Nouveaux Riches Magazine (https://www.les-nouveaux-riches.com/rephotographing-assemblages/). Con un bagaglio di un migliaio di scatti, dopo averne selezionato un centinaio, Vera ha posizionato le fotografie nell’appartamento di Tel Aviv dove vive e le ha rifotografate – o riassemblate -. Creando infine un collage. “A pensarci oggi – dice al telefono – è stato molto terapeutico. Una volta completato il progetto è stato come aver risolto qualcosa. E da allora, dopo otto anni, vivo ancora nello stesso appartamento a Florentin. Non ero mai rimasta così a lungo nella stessa abitazione”. “Del resto – aggiunge – l’arte è terapia. E’ per questo che ne abbiamo bisogno”. 

    Quello che la giuria del Presser Award ha particolarmente apprezzato nel lavoro di Vera Vladimirsky, è la capacità di conciliare la nuova vita da immigrata con le esperienze del passato, alla ricerca di una sua identità e del suo percorso nel mondo. Con sensibilità e humor, con consapevolezza e affetto nei confronti dell’imperfezione. Dettaglio che emerge netto in un altro progetto, artistico e commerciale insieme: “Paper Walls”, una serie di carte da parati. “Fotografo vari tipi di fiori e piante israeliani – scrive sul suo sito veravladimirsky.com – che portano con sé memorie collettive e un simbolismo locale. Con un processo meticoloso, costruisco modelli senza soluzione di continuità, infiniti, dettagliati e ad alta risoluzione, che vengono stampati su carta da parati di alta qualità. Questa è la mia interpretazione di un’estetica domestica, che riunisce i ricordi degli interni riccamente decorati nell’ex Unione Sovietica e il soggetto comune e generico dei paesaggi israeliani locali”.

    Il comitato di giuria, composto da Mira Lapidot (curatore del Museo d’arte di Tel Aviv), Simone Forster (Pinakothek der Moderne, Monaco di Baviera) e Thomas Seelig (responsabile della fotografia al Museum Folkwang, Essen), ha voluto premiare Vera Vladimirsky, per la capacità di mettere al servizio delle sue scelte estetiche contemporanee, la sua vasta conoscenza della fotografia d’avanguardia del primo Novecento. Risultato: esperimenti di collage, assemblaggio e installazioni fotografiche che offrono un’esperienza visiva capace di fondere in un incontro interculturale passato e presente, qui e ora.

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    INNOVAZIONE

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    NEWS

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