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    L’idea è un po’ disgustosa, ma è certamente utile per capire la dinamica del conflitto fra i terroristi di Gaza e Israele: proviamo a metterci nella testa dei terroristi. Sono passati otto giorni e mezzo dall’ultimatum, subito seguito dal bombardamento missilistico su Gerusalemme, con cui Hamas ha dato inizio ai combattimenti, senza alcuna provocazione e neppure previsione israeliana. Finora hanno sparato quasi quattromila missili, fra un terzo e un quarto del loro arsenale. Sono riusciti a distruggere qualche casa ed edificio produttivo, ma hanno ammazzato solo dodici persone in Israele. Dico “solo” dodici, perché il loro desiderio, anzi il progetto politico che perseguono, è di eliminare tutti gli israeliani, almeno tutti gli israeliani ebrei, che sono otto milioni. A questo ritmo, gli ci vorrebbero circa 800 mila settimane, che corrispondono a 15.300 anni. Dal loro punto di vista, è un ritmo certamente insufficiente. Fra i morti, poi si contano una badante indiana, due tailandesi, tre o quattro vecchie signore, un bambino di cinque anni e solo un soldato: noi sappiamo che ogni morte distrugge un mondo e la piangiamo sempre; ma a loro la morte piace, così dicono spesso, e ne hanno avuta certamente troppo poca per i loro gusti.

     

    Gli sarebbe bastato forse ottenere un buon numero di vittime opportunamente fotogeniche dalla loro parte, per sostenere una campagna propagandistica di successo contro la “malvagità” degli ebrei. Ma anche qui, l’esercito israeliano è stato troppo attento. I morti di Gaza sono “solo” duecento, tre quarti dei quali miliziani terroristi e una ventina fra loro alti “ufficiali” o comunque capi terroristi, altrettanti tecnici delle armi, colpevoli come i primi, ma più pericolosi. In cambio la loro struttura tecnica, logistica, i loro depositi di armi, le loro fabbriche di missili, i loro preziosi tunnel così fitti e intricati da essere paragonati alla metropolitana, insomma la loro struttura militare e terroristica è largamente distrutta. Avevano pensato di sorprendere Israele con nuove tecniche e nuove armi segrete, come quelle con cui Hitler nel ‘45 spacciava di poter ancora vincere la guerra. Ma il lancio di missili a raffiche di cento e passa non ha sopraffatto Irona Dome. I tiri sulle piattaforme di gas, importante risorsa economica di Israele, non sono arrivati a bersaglio. I droni forniti dall’Iran sono stati facilmente abbattuti. E anche i mini-sommergibili senza equipaggio, guidati via satellite, che dovevano colpire Israele dal mare, sono stati miseramente affondati. Hamas è riuscito sì a creare tumulti anche gravi nelle città israeliane abitate da arabi; ma senza coinvolgere la massa della popolazione arabo-israeliana, senza poter creare un pericolosissimo secondo fronte; solo il consueto microterrorismo, qualche tentativo di linciaggio, qualche incendio, qualche macchina guidata a investire gli odiati ebrei. Tutti crimini, beninteso, ma privi di effetti strategici. E non sono neanche riusciti a portare l’esercito israeliano a entrare a Gaza, con i conseguenti costi di vite umane e di mobilitazione politica avversa.

     

    Hanno avuto un po’ di solidarietà dai paesi arabi circostanti, qualche singolo fanatico in Libano e Giordania ha provato a superare il confine, ma quando ha visto che c’erano i soldati israeliani ha cambiato rapidamente idea. Sono partiti anche una decina di razzi sempre dal Libano e dalla Siria, ma sono tutti caduti in luoghi disabitati, per lo più prima del confine. L’Egitto, l’Arabia, i paesi del Golfo hanno borbottato a mezza bocca che erano solidali coi fratelli palestinesi, ma senza cambiare politica verso Israele, senza posizionarsi di nuovo nel “fronte della resistenza”. Russia e Cina, idem. La Turchia e l’Iran hanno fatto la voce grossa contro Israele, ma non avevano bisogno di questo pretesto per ripetere cose che dicono tutti i giorni. In Europa e negli Usa ci sono stati cortei soprattutto di immigrati musulmani, i leader della sinistra hanno riposto col solito riflesso condizionato antisraeliano, alcuni “opinion leader” della cui intelligenza è giusto dubitare se non si vuole incolparli di cose più gravi, hanno ripreso il solito copione antisemita degli ebrei che ammazzano i bambini.

     

    Insomma, un fallimento totale. Resta ai terroristi solo la prospettiva di un cessate il fuoco per leccarsi le ferite e riorganizzare quel che gli resta, bloccare chi fra gli abitanti di Gaza potrebbero chiedere loro ragione dei danni che hanno provocato. Ma la tregua non possono chiederla con troppa insistenza per non perdere la faccia. Devono continuare a sparare razzi anche se è chiaro a tutti che sono inutili. Ieri hanno perfino bombardato la colonna dei soccorsi alimentari per Gaza che Israele aveva forse troppo generosamente consentito a far passare. Ci sta pensando la diplomazia, sono in molti i paesi che vogliono fare la figura dei pacificatori; ma questa volta è più difficile che in passato.  Come hanno già fatto nelle operazioni precedenti, i terroristi cercheranno di fare i furbi, di provare a fare un danno all’ultimo minuto per coprire la sconfitta. Ma non è detto che Israele glielo lasci fare e neppure che si accordi per il cessate il fuoco prima di aver finito il lavoro di smantellamento delle strutture militari di Gaza.

     

    Insomma, se si entra nella testa dei terroristi, il fallimento è evidente. Ed era anche prevedibile. Magari non in questi termini; ma è difficile per un’organizzazione terroristica sfidare frontalmente Israele e uscirne indenne. Allora perché l’hanno fatto? L’hanno deciso loro, non certo Israele e non era in atto nessuno scontro in atto che sia sfuggito di mano. E i capi di Hamas sono fanatici e crudeli, non stupidi. Chi glielo ha fatto fare, allora? La risposta è chiara, è stata una scelta dell’Iran, che aveva interesse a distrarre il mondo dal proprio imperialismo, a sfidare il sistema difensivo israeliano, a cercare di mettere in crisi gli accordi di Abramo. Le vittime di questi giorni vanno attribuite all’Iran. Ma che il Papa abbia pensato bene di ricevere cordialmente l’altro ieri il Ministro degli Esteri iraniano, che abbia preso una telefonata di Erdogan, l’altro grande sponsor di Hamas, e sia stato a sentire la loro propaganda sui “crimini” di Israele senza reazioni pubbliche, la dice lunga sulle coperture ideologiche di questa guerra.

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