
Fabio Pavoncello, scomparso domenica all’età di 61 anni, è stato un punto di riferimento discreto ma fondamentale per la vita religiosa della Comunità Ebraica di Roma. Nato il 23 marzo 1964, lavorava dal novembre 2011come Shammash presso il Tempio Maggiore e il Tempio Spagnolo, dove accompagnava con dedizione le attività e le cerimonie della Comunità.
“Era una persona splendida, buona, che non ti diceva mai di no” ha ricordato Rav Alberto Funaro, manhig del Tempio Maggiore di Roma. “Con discrezione e dedizione, Fabio ha accompagnato per anni la vita del Tempio, diventandone parte silenziosa ma indispensabile”. Intervistato da Shalom, Rav Funaro rievoca i piccoli gesti quotidiani, i viaggi insieme in macchina verso via Balbo, le cerimonie al Tempio. “Si emozionava quando arrivavano personalità importanti, temeva di sbagliare. Io gli dicevo: stai tranquillo. Aveva un grande senso di responsabilità. Era un uomo semplice e buono, che avrebbe meritato ancora più valorizzazione per quello che dava alla Comunità”.
Rav Jacov Di Segni, direttore dell’Ufficio Rabbinico e manhig del Tempio Spagnolo, lo ha ricordato così: “Era una persona che serviva il pubblico e il Tempio con discrezione e umiltà. Se c’era da imparare o da migliorare, accettava i consigli e li faceva propri”. Lo ha definito con la parola ebraica tamim, “un giusto, integro”. Tra i suoi meriti più significativi, l’iniziativa di promuovere lo studio della Torah al Tempio Maggiore: per due anni, dopo la tefillà del mattino, organizzava un gruppo di lezioni, riuscendo a coinvolgere decine di persone, uomini e donne.
Rav Ariel Di Porto, manhig del Bet Shalom di Roma, ricordava con affetto il legame personale con Fabio, condividendo passioni comuni come la tecnologia. “Ne parlavamo spesso, erano conversazioni che univano il lato umano al piacere dello scambio. Ma ciò che lo rendeva speciale era la sua capacità di accogliere. Quando arrivava qualcuno con un lutto o una difficoltà, Fabio non si limitava a svolgere il suo ruolo. Lo accompagnava, lo aiutava a pregare, a mettere i tefillin, lo faceva sentire accolto. Con le persone lontane dall’ebraismo dava il meglio di sé. Aveva un occhio speciale, una sensibilità rara”.
“Fabio Pavoncello era un uomo dolce, sensibile, generoso – ha ricordato con affetto il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Victor Fadlun – Impossibile non volergli bene per la sua umanità, il suo desiderio di porsi sempre in ascolto e aiutare il prossimo. Al Tempio lo cercavo con gli occhi, scambiavamo qualche pensiero e immancabilmente trasmetteva positività, dava con gioia una mano per arrivare alle giuste soluzioni. Fabio era l’emblema degli iscritti della nostra Comunità per i quali ho deciso di impegnarmi. Io tifavo per lui come tifo per tutti coloro che nella nostra kheillà sanno portare con discrezione forza e dolcezza. Sono vicino alla signora Romina e alle figlie Ariela e Yael. Devono essere fiere di un padre come lui. יהי זכרו ברוך”.