
Un minuto prima siamo di fronte alla fontana di Piazza delle Cinque Scole.
Quello dopo, davanti alle Cinque Scole vere e proprie.
È quello che accade attraverso la nuova mostra immersiva “Bene Romi – Figli di Roma”, un progetto realizzato con tecnologia di ultima generazione in realtà aumentata che permette di addentrarsi nell’antico Ghetto Ebraico di Roma. Il progetto è stato realizzato dalla Fondazione per il Museo Ebraico di Roma con il supporto tecnico di Sagitek e con il contributo della Comunità Ebraica di Roma, dell’Università di Roma Tor Vergata CERSE (Centro Romano di Studi sull’Ebraismo) e della Comunità Ebraica di Torino.
Il percorso immersivo, che si potrà visitare a partire dal mese di luglio, è una macchina del tempo che ci accompagna in 5 tappe del Ghetto, ripercorrendo il periodo tra la sua istituzione nel 1555, e la sua demolizione, nel 1888. Un progetto all’avanguardia, che possa “qualificare visite guidate con la tecnologia avanzata”, ha affermato Claudio Procaccia, Direttore del Dipartimento per i Beni e le Attività Culturali della Comunità Ebraica di Roma.
La mostra è frutto di un massiccio lavoro documentale, oltre che tecnologico, per garantire “un continuo immergersi nell’evoluzione di questi 300 anni del Ghetto”, come ha sottolineato Giovanni Sapia, amministratore di Sagitek.
“Una comunità antica oggi si affida alle più moderne tecnologie per permettere ai visitatori di assaporare l’atmosfera dell’antico Ghetto che per più 300 anni è stata una prigione a cielo aperto per gli ebrei di Roma” ha evidenziato nel suo intervento il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Victor Fadlun, aggiungendo che il Ghetto porta con sé un sapore agrodolce che il percorso virtuale ci permette di esplorare attivamente. I visori trasformano i luoghi di quella a cui oggi ci riferiamo colloquialmente come “Piazza” mostrandoci i muri, portoni ed edifici che nel corso degli anni sono stati eretti e abbattuti a seconda del periodo storico che il popolo ebraico stava attraversando.
La mostra in realtà virtuale non ci permette solo di ricostruire il Ghetto del 1555, ma di “rivivere” quel luogo antico, vedendolo cambiare a poco a poco e diventando “Protagonisti attivi della mostra,” come afferma Lia Toaff durante la presentazione.
Attraverso il visore vediamo strade familiari diventare un ambiente di segregazione, con portoni imponenti che sbucano a destra e manca. Eppure, la fine del percorso ci porta a realizzare che proprio quel luogo, concepito per contenerci e discriminarci, è sempre stato e sempre sarà il nostro punto di ritrovo.