
Le antiche strade romane attraversavano città e villaggi, costeggiando campi coltivati, pascoli e boschi. Rappresentavano non solo elementi di connessione e integrazione, ma costituivano soprattutto un sistema per garantire viaggi più comodi e veloci. Il paesaggio, se solo lo si sa ascoltare, racconta storie grandi e piccole, illustra vicende locali e avvenimenti di portata generale, riflette trasformazioni minime e mutamenti epocali.
Ma come, secondo la letteratura rabbinica, fu fondata Roma? Cosa affermarono i Rabbanim a tale proposito? Nel Talmud babilonese, trattato Sanhedrin 21a, Rabbi Izchak dichiarò:
Quando Salomone sposò la figlia del Faraone, l’angelo Gabriele scese dall’alto dei Cieli, piantò una canna nel mare, vi fece sorgere un mucchio di sabbia e su questo fu costruita la città di Roma.
Secondo alcuni studiosi, i Maestri si riferivano con queste parole non al modo in cui fu edificata l’Urbe, ma alla città di Bisanzio, ricostruita ai tempi di Costantino e definita “la nuova Roma”. Dunque, ogni volta che nel Talmud o nei midrashim si adopera il nome di Roma – spesso chiamata anche Edom, Kerakh gadol (grande metropoli) o Malkhuth revi’ith (il quarto Regno) – il riferimento sarebbe sempre a Bisanzio, poiché secondo i rabbini l’antica Roma non fu fondata sul mare. I Maestri, quando volevano parlare della “Città eterna”, la definivano “Italia shel Yavan” – Italia dei Greci.
Morè Nello Pavoncello Z”L, nel suo articolo “La Roma dei Cesari nella letteratura ebraica tradizionale” (Studi Romani, Anno XXIX – N. 1, Gennaio-Marzo 1981), scrisse:
Non sembra che i critici abbiano ragione e certamente i Dottori del Talmud alludono sempre alla città di Roma e non già a Bisanzio; pertanto il sopracitato passo del trattato Sanhedrin 21a va inteso come riferito alla ‘Penisola italiana’, della quale Roma sarebbe stata la città più importante.
Questa interpretazione è confermata dal passo del Talmud di Gerusalemme, trattato Avodà Zarà cap. II, dove è chiaramente scritto: “Il giorno in cui Geroboamo fece costruire i due vitelli d’oro, Romolo e Remo costruirono due capanne o baracche in Roma“. È infatti cosa notissima ai Dottori che essi furono i fondatori dell’antica Roma.
La presenza ebraica nella capitale dell’Impero
La presenza ebraica a Roma e la conseguente Comunità romana rappresentano, come noto, la più antica d’Europa. I primi contatti tra gli ebrei e l’Impero risalgono alle ambascerie inviate da Simone Maccabeo nell’anno 139 a.e.v. per ottenere l’amicizia e l’alleanza dei Romani. In conseguenza di questa alleanza iniziarono, probabilmente, le prime emigrazioni verso l’Urbe. A questi primi arrivati si aggiunsero successivamente gruppi di mercanti e quegli ebrei che furono portati nella capitale in qualità di prigionieri, a seguito delle guerre di Pompeo nel 60 a.e.v. e di Vespasiano e Tito nel 70 d.e.v.
La letteratura rabbinica racconta come nell’Urbe giungevano spesso rabbini anche da luoghi lontani per incontrare personalità altolocate. Nel trattato Bereshit Rabbà cap. II si narra che a Rabban Gamliel furono poste domande da parte del senato romano. Non solo a questo illustre Maestro furono rivolti quesiti, ma anche ad altri dottori ebrei interpellati su questioni religiose. A Rabbi Yehoshua ben Chananyà il senato chiese delucidazioni sulla resurrezione dei morti nell’ebraismo (Sanhedrin).
Molti Maestri della Terra d’Israele, durante le persecuzioni dell’imperatore Adriano, risiedettero a Roma e furono designati come capi di Accademie rabbiniche o direttori spirituali della comunità ebraica locale. Tra questi vorrei ricordare Matyà ben Cheresh, che diresse un’Accademia rabbinica nella capitale, nella quale confluirono tantissimi studenti da ogni parte della Diaspora (Sanhedrin 32), e Rabbi Akivà, che si recò a Roma con una rappresentanza di grandi Maestri – Rabban Gamliel, Rabbi Elazar ben Azaria e Rabbi Yehoshuà – alla fine del regno di Domiziano.
La grandezza della capitale imperiale
Un passo del Talmud descrive perfino la grandezza dell’area della città e i mercati che essa possedeva. Così è scritto nel trattato Meghillà, come riporta Morè Nello Pavoncello Z”L:
Disse Rabbi Ullà: l’Italia della Grecia è la grande città di Roma, la quale ricopre un’area di trecento ‘parsà’ per trecento ‘parsà'” – nei testi rabbinici la parsà indica una misura di lunghezza pari a circa 60 km. “Essa ha 365 mercati, secondo il numero dei giorni dell’anno solare […]. In Roma si trovano 3.000 bagni termali; da 500 finestre il fumo si alza sopra le mura, un lato delle quali è rivolto verso il mare, un lato verso i monti e le colline; da un altro lato delle mura si trova una barriera di ferro e presso uno dei lati, infine, vi è un muro costruito con pietre sottili ed una palude” (Talmud babilonese, trattato Meghillà 6a).
I grandi rabbini percorsero centinaia di chilometri per giungere nell’antica Roma imperiale, come confermato dall’immensa letteratura talmudica e midrashica che possiamo ancora oggi consultare. Un viaggio straordinario dei Maestri attraverso la rete stradale romana, simbolo di connessione e potere: una quantità imponente di vie che non solo unirono un impero vasto e multietnico, ma gettarono le basi per il mondo moderno.