
È stato proiettato ieri al Centro Ebraico Il Pitigliani “Una farfalla sui sampietrini”, il ‘vocafilm’ – una raccolta di messaggi vocali in giudaico-romanesco – dedicato alla memoria del 16 ottobre 1943, realizzato da Hamos Guetta. Una sala piena, un ascolto attento, un silenzio partecipe: è stata una serata di forte intensità emotiva, condotta da Nathania Zevi, che dopo la proiezione ha dialogato con l’autore, alcuni protagonisti e il pubblico presente.
Il progetto nasce durante il periodo del Covid. Hamos Guetta aveva creato una chat particolare chiamata ‘Giudaico parlanti’, con regole chiare: niente messaggi scritti, niente foto, niente video. Solo messaggi vocali. E solo in giudaico-romanesco. Una lingua che non è solo un dialetto, ma una memoria viva, familiare, quotidiana: lo ‘shin ha-kodesh’ delle case, delle nonne, delle corti.
La mattina del 16 ottobre 2020 – era di nuovo Shabbat, come nel 1943 – una signora della chat inizia a parlare. Racconta dei suoi genitori, di come si salvarono o non tornarono. Pioveva, le strade erano vuote, tutti erano chiusi in casa. Quella voce ne ha chiamate altre: voci di figli e nipoti che hanno riportato in vita i racconti che si sentivano “in casa”, con una naturalezza che nessuna ricostruzione storica può sostituire.
Da quella raccolta di messaggi vocali è nato il ‘vocafilm’: una narrazione fatta di suoni, inflessioni, pause, memoria trasmessa attraverso la voce. Le immagini non sono rievocazioni né ricostruzioni: sono riprese semplici, quasi sospese, delle strade e degli angoli del vecchio Ghetto, di notte, sotto la pioggia. Ogni voce risuona in quel vuoto, come se venisse da dentro le pietre.
Il risultato è un nuovo modo di trasmettere il 16 ottobre: non una lezione in dialetto. Un ritorno alla lingua dell’intimità, della famiglia, del quotidiano. Un modo di parlare profondamente anche ai giovani, che spesso non hanno più accesso diretto ai racconti dei nonni e ai dettagli familiari di quella giornata.
Il ‘vocafilm’ di Hamos Guetta riesce ad unire memoria e identità giudaico-romanesca senza retorica, con delicatezza e verità. È un’opera da far circolare, da proporre nelle scuole, nelle case, nelle occasioni in cui la memoria rischia di diventare solo calendario e non voce.
Perché ricordare significa anche ricordare come si parlava. Ricordare in ‘shin ha-kodesh’.












