Gli ospedali di Gaza, centri di comando e di combattimento
Che Hamas, da quando è al potere (oltre quindici anni),
avesse investito energie e somme immense per trasformare gli ospedali di Gaza
in scudi di protezione per i suoi centri logistici e di comando, per le sue
caserme, i suoi magazzini di armi e le sue carceri, scavando gallerie e intere
fortificazioni sotterranee sotto le loro cantine, si sapeva da sempre. E
infatti le battaglie più dure nell’operazione di Gaza si sono svolte e
continuano ad aver luogo intorno a questi ospedali, una ventina in tutta la Striscia,
e in particolare intorno all’ospedale principale della Città di Gaza, Al Shifa.
Non certo per accanimento di Israele contro medici e malati, che anzi sono
stati più volte soccorsi ed aiutati a evacuare le istallazioni, ma proprio
perché la liquidazione della struttura di comando e di combattimento dei
terroristi si può fare solamente penetrando in questi sotterranei,
conquistandoli e distruggendoli.
Gli orrori di Shifa
Ma c’è qualcosa di nuovo che è emerso negli ultimi giorni,
quando le truppe israeliane sono riuscite a penetrare a Shifa, almeno alla sua
parte di superficie. Si sono cioè trovate le prove che l’ospedale è stato anche
il luogo in cui sono stati trasportati e assassinati almeno alcuni dei rapiti
del 7 ottobre. Ieri il portavoce dell’esercito ha mostrato alla stampa un certo
numero di filmati tratti dalle telecamere di sorveglianza di Al Shifa, in cui
si vedono ostaggi trascinati a viva forza per le sale dell’ospedale, alcuni in
barella ma altri ancora in piedi e dunque vivi e non bisognosi di soccorso
medico: è la prova evidente dell’uso di quello che dovrebbe essere un luogo di
cura in un centro di detenzione, di tortura e di esecuzione. A queste prove
video si aggiungono le armi, che sono stati ripetutamente trovate nascoste in
locali dell’ospedale e accumulate nei cortili. Sono state scoperte gallerie e i
pozzi che vi davano accesso. Ieri per esempio ne è stato mostrato uno profondo
dieci metri che dava accesso a un tunnel che le forze israeliane hanno percorso
per una cinquantina di metri, fino a una fortificazione interna munita di
feritoie da sparo. Sempre nei cortili dello Shifa sono state trovate alcune
automobili rubate nei villaggi israeliani il 7 ottobre, inclusa la jeep già
vista in video diffusi dai terroristi, in cui era stata trascinata, denudata,
esibita e linciata una ragazza tedesca presa alla festa dove i terroristi hanno
assassinato 350 ragazzi. In locali annessi all’ospedale sono state trovate
anche delle salme di persone rapire durante l’incursione, come la soldatessa Noa
Marciano di cui Hamas ha pubblicato il video di un interrogatorio, prima di
ucciderla. Ci sono state anche testimonianze di medici stranieri che avevano
fatto volontariato nell’ospedale e che erano stati ammoniti a non superare
certe porte e a non andare nei sotterranei, a pena di morte. Insomma Israele
non ha solo il diritto ma il dovere di entrare nei Lager che i terroristi.
hanno tratto dagli ospedali e solo gli ipocriti possono scandalizzarsene o
protestare.
La negazione della memoria
Questi ipocriti abbondano in Occidente, dove si continuano a
vedere filmati di persone “perbene”, magari funzionari pubblici, di “bravi
ragazzi”, magari universitari impegnati, non solo di islamisti, che con l’aria
di svolgere un dovere politico stracciano i manifesti attaccati ai muri dove
sono stampate le fotografie degli assassinati e dei rapiti del 7 ottobre – una
pratica che dovrebbe far riflettere coloro che promettono ogni 27 gennaio la
memoria. Si tratta in fondo della stessa operazione che i nazisti tentarono alla
fine della Shoà e che fu prolungata per decenni dai negazionisti.
La complicità dell’Autorità Palestinese
L’ipocrisia, o peggio la complicità regna sovrana anche
dentro i gruppi palestinesi diversi da Hamas, tanto che un sondaggio recente
mostra che l’84% dei sudditi dell’Autorità Palestinese approva quel che è
accaduto il 7 ottobre. Forse pensando a questa grande maggioranza
filoterrorista dei palestinesi, ieri le brigate di Al Aqsa, cioè il braccio
militare di Fatah, che è presieduto da quello che è anche il presidente
dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, ha rivendicato di aver consegnato ad
Hamas le persone che i suoi militanti avevano rapito il 7 ottobre: una doppia
ammissione da parte dei “palestinesi buoni” di Fatah: di aver partecipato alla
strage e rapito civili e di collaborare con Hamas, riconoscendone il controllo
sulla gestione della guerra. Ma si tratta anche di posizioni ufficiali. L’altro
ieri è uscito un comunicato del ministero degli esteri dell’Autorità
Palestinese particolarmente scandaloso, in cui era scritto che sono stati gli
elicotteri da combattimento delle forze armate israeliane e non i terroristi a
uccidere i partecipanti al festival musicale Nova e la maggior parte delle
vittime nei kibbutz al confine di Gaza. Vale la pena di riportare qui la
replica che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ritenuto necessaria fare: ”Il
Ministero degli Esteri palestinese ha pubblicato un messaggio scandaloso. Ha
negato che Hamas abbia compiuto il terribile massacro di Reim e ne ha
attribuito la colpa a Israele. Come se non bastasse che Abu Mazen, in 44
giorni, non abbia ancora condannato il terribile massacro, ora i suoi uomini
negano questo massacro e lo attribuiscono a Israele. Il negazionista
dell’Olocausto Abu Mazen ora nega il massacro di Hamas. Voglio essere molto
chiaro: il giorno dopo lo sradicamento di Hamas, non permetteremo a coloro che
negano il terrorismo, che sostengono il terrorismo, che finanziano il
terrorismo ed educano i propri figli sul terrorismo e sulla distruzione dello Stato
di Israele, di governare nella Striscia di Gaza. Non lo permetteremo”.