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    L’allievo “indegno” e il suo maestro: Wlodek Goldkorn ricorda Marek Edelman

    Wlodek Goldkorn, giornalista e scrittore, non ha visto la rivolta, ma la sua storia gli si lega a doppio filo. Wlodek è nato nel ’52 in Polonia, i suoi genitori tornarono nel Paese dopo la guerra. “Trovarono una Polonia con pochissimi ebrei sopravvissuti. Un Paese in cui era ancora pericoloso essere ebrei”. Ma oltre alla storia famigliare, ciò che lo lega ancor più forte alla rivolta è la sua amicizia con Marek Edelman, uno dei capi dell’insurrezione. “Marek è il mio maestro di vita” ci dice Goldkorn, che abbiamo intervistato.

     

    Cosa hanno trovato i tuoi genitori quando sono tornati in Polonia dopo la guerra?

    Andarono ad abitare a Katowice, città legata a diversi eventi dell’ebraismo. Trovarono una Polonia con pochissimi ebrei, pochissimi sopravvissuti, e una Polonia in cui era ancora pericoloso essere ebrei. Questo è il grande paradosso. C’erano anche le formazioni della destra radicale che combattevano armi in pugno il nuovo regime comunista che si stava instaurando. E poi non dimentichiamo a luglio 1946 il pogrom a Kielce. Loro tornarono dopo il pogrom e trovarono un Paese distrutto. Mio padre faceva parte di uno sparutissimo gruppo di ebrei comunisti che non erano assimilazionisti, non erano religiosi, ma volevano continuare la vita ebraica in Polonia, basata sulla lingua e sulla cultura Yiddish. Si mise con altri compagni a ricostruire quella vita: orfanotrofi, cooperative per i sopravvissuti. Io sono cresciuto come un bambino felice che conosceva la cultura Yiddish e si sentiva partecipe di tutto ciò.

     

    Come ti è stata tramandata la memoria della rivolta?

    Ce l’ho da sempre. Io sono cresciuto in quel mondo lì. Mio padre si è sempre occupato della memoria. Le commemorazioni a Varsavia della rivolta sono iniziate subito dopo dalla liberazione, nell’aprile 1945. Ho capito solo dopo che c’erano ancora sopravvissuti, io ero convinto che tutti fossero morti. Ho scoperto che esisteva Marek Edelman a metà degli anni 70. Sono andato da lui. Più avanti siamo arrivati ad una specie di accordo: lui era il mio maestro di vita ed io il suo indegno allievo.

     

    Perché ti definisci l’indegno allievo?

    I maestri si scelgono, gli allievi si impongono, ecco perché sono indegno, perché mi sono imposto. E poi sono indegno perché nessuno è degno di lui. L’ho scelto perché era un superstite di un mondo la cui memoria doveva rimanere viva. Lui ti lascia qualcosa per cui è sempre presente. Ogni volta che vengo a Varsavia vado sulla sua tomba e ci parlo.

     

    Qual è l’episodio che ti ha colpito di più tra quelli raccontati da Edelman?

    A parte alcuni episodi realmente accaduti, ce n’è uno immaginario. È la conversazione tra Marek Edelman e Mordechai Anielewicz, con la sua fidanzata Mira Fuchrer. L’incontro avviene il giorno prima del suicidio di Anieliewicz e del suo gruppo, e la fuga di Marek attraverso le fognature.

     

    Quale è il valore della rivolta?

    Su questa storia c’è una retorica, ovvero che chi ha combattuto l’ha fatto per morire dignitosamente. Ciò è offensivo nei confronti elle vittime.Hanno combattuto perché erano giovani, di sinistra e contro i nazisti volevano fare la lotta armata. Diceva Edelman: “Il valore della rivolta non è stato militare ma etico e politico. Siamo stati i primi nell’Europa occupata dai nazisti a insorgere con le armi in pugno”. Si consideravano parte del fronte antifascista in tutta l’Europa.

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