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    La Shoah e l’ebraismo attraverso la lente della psicoanalisi. Intervista ad Alberto Sonnino

    Parlare di Shoah non è sempre facile, sebbene sia doloroso e necessario. Alberto Sonnino, psicoanalista che si occupa da anni della cultura e del pensiero ebraico, con il suo libro “Trauma della Shoah, ebraismo e psicoanalisi” (Franco Angeli) offre al lettore la possibilità di analizzare la Shoah e i suoi traumi, da un’altra prospettiva: la psicoanalisi. I primi due capitoli portano ad una profonda riflessione legata alla questione dell’elaborazione del trauma della Shoah, interrogandosi sulle conseguenze che ha causato. Riflettendo successivamente sul ruolo giocato dalle generazioni successive e dall’enorme patrimonio che costituiscono le testimonianze dirette dei sopravvissuti. Nei capitoli che seguono, Sonnino porta il lettore per mano all’interno del tema dell’etica, del pensiero e dell’identità ebraica e teoria psicoanalitiche.  Temi madre dell’ebraismo che prendono vita tra le pagine di questa opera, che nella sua complessità rappresenta uno strumento unico di analisi e riflessione. Shalom ha intervistato l’autore, che ha offerto molteplici spunti sull’ebraismo e sulla Shoah, in tutte le sue sfumature.  

     

    Com’è nata l’idea di sintetizzare i suoi studi e renderli fruibili in questo testo?

     

    L’elaborazione del trauma della Shoah e i rapporti tra psicoanalisi ed ebraismo hanno rappresentato da sempre campi di mio strettissimo interesse. Per quanto riguarda i rapporti tra ebraismo e psicoanalisi, è perché si introduce la questione della definizione dell’identità di ebreo, nella mia posizione rispetto alla fede o all’osservanza delle tradizioni. Ma anche perché, occupandomi di psicoanalisi, mi sono reso conto che tantissimi concetti psicoanalitici presentano delle affinità profondissimi con quelli che sono i cardini dell’identità ebraica. Come, ad esempio, il precetto di “non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”. Per quanto riguarda il trauma della Shoah, io da sempre mi sono occupato di antisemitismo, sia dal punto di vista dell’impegno più diretto sul piano dell’informazione, che sull’approfondimento delle cause che esistono dietro il questo fenomeno. Tuttavia, nel corso degli anni ho notato che la questione delle persecuzioni relative al nazifascismo mi hanno sempre creato una grande difficoltà. Ho sempre teso ad accantonare questo tema, trattavo spesso di antisemitismo dal punto di vista teorico ma ignoravo la questione nazifascista. Per accorgermi, successivamente, che si trattava di un tema difficile da avvicinare, anche per me. Questo ha rappresentato senza dubbio qualcosa dal profondo impatto traumatico. Non sono stato colpito in prima persona, sono figlio di figli di persone colpite, eppure nonostante la distanza generazionale, la Shoah ha sempre rappresentato un tema difficilmente avvicinabile. La psicoanalisi insegna che le vicende traumatiche non sono difficili solo per le vittime, ma anche per chi deve accogliere il racconto dell’evento traumatico. Mettendo assieme tutte queste riflessioni nel corso degli anni ho avuto modo ti elaborare e condividere dei contributi, accolti in sedi universitarie, seminari e congressi, fino al discorso che ho avuto l’onore di presentare al Quirinale su invito del Presidente Mattarella nel 2020. Raccogliendo tutto questo materiale, ho pensato di farne un discorso unico, perché ritengo che lo strumento psicoanalitico possa aiutare molto rispetto alla comprensione dei meccanismi che furono alla base della Shoah.

     

    In Israele si sono sempre condotti studi sugli effetti che la Shoah ha avuto sulle generazioni successive, sia sui carnefici che sulle vittime.  A che punto siamo con questo genere di ricerche in Italia e in Europa?

     

    Io credo che l’Europa sia sostanzialmente indietro rispetto a tutto ciò, e il motivo di questo drammatico ritardo credo che risieda proprio nella fretta con cui, nell’immediato dopoguerra, si sia cercato di cancellare a suon di amnistie il ricordo di quanto accaduto. Questo perché prendere atto delle responsabilità che l’intera popolazione europea, tranne rarissime eccezioni e lo Yad Vashem in questo senso da enorme spazio ai cosiddetti “Giusti tra le nazioni”, l’Europa ha cercato di negare e ignorare la propria responsabilità. Io sono molto d’accordo con ciò che dice Elena Loewenthal nel suo libro, breve ma molto intenso, quando asserisce che ogni europeo quando cammina sul suolo del nostro continente deve essere consapevole di star camminando su un cimitero. Una frase dal grande impatto emotivo ma molto efficace. L’Europa nega e ha negato spesso le sue enormi responsabilità. Ma pensiamo in generale alle amnistie, non solo per quanto riguarda l’Est Europa, ad esempio per quanto riguarda l’amnistia Togliatti. In cui vennero reintegrate tutte le persone responsabili in maniera diretta della persecuzione fascista. Azzariti, che faceva parte del tribunale della razza e fu firmatario del manifesto della razza, ha potuto ricoprire il ruolo del Presidente della Corte costituzionale. Oppure pensiamo a Carlo Attinei, che fu consulente per le Leggi Razziali nel 1938 ed è diventato, nel dopoguerra, procuratore Generale a Palermo. Ma anche il caso emblematico e paradossale di Mario Cortellini, vicecommissario a Venezia durante le persecuzioni e responsabile del sequestro dei beni degli ebrei, che nel postguerra venne nominato dalla stessa questura responsabile della restituzione dei beni agli ebrei.

     

    Oggi stiamo assistendo al risveglio di una nuova preoccupante forma di antisemitismo, sebbene stia cercando di assumere nuove sembianze. Quale può essere una soluzione, sempre in chiave psicoanalitica, per preservare la memoria?

     

    I figli e i nipoti dei carnefici hanno senza dubbio bisogno di grande coraggio nell’ammettere le loro colpe per preservare e rispettare la memoria. Questo è nel loro stesso interesse prima ancora che nel rispetto della memoria delle vittime, perché ciò a cui si tende è il pericoloso corto circuito con il quale si pensa di poter “pareggiare un conto” trasformando le vittime in carnefici. Lo stereotipo con cui gli israeliani oggi “fanno ai palestinesi quello che i nazisti fecero loro” è un tentativo goffo e psicotico per provare a pareggiare un conto. Se le vittime si sono trasformate nei carnefici di oggi gli europei non si sentono più tenuti ad avere dei sensi di colpa. È un tentativo di appianare le proprie responsabilità ma al prezzo della negazione e del disconoscimento della verità. Questo fa sì che nel tempo si perpetui il meccanismo discriminatorio e finché c’è emarginazione, razzismo e antisemitismo vuol dire che l’elaborazione dei drammi relativi alla Shoah non sono stati nemmeno avviati. Questi cortocircuiti, che tendono ad un disassorbimento delle colpe e delle responsabilità al prezzo della criminalizzazione delle vittime stesse, sono operazioni che fanno un torto profondissimo al riconoscimento della verità. Facendo si che le colpe rimangano immutate all’interno della psiche trasferendosi di generazione in generazione. L’elaborazione della colpa è qualcosa di complesso, solo il coraggio della responsabilità di voler affrontare le proprie responsabilità può consentire.

    La
    presentazione del libro “Trauma della Shoah, ebraismo e psicoanalisi” (Franco
    Angeli) di Alberto Sonnino si terrà lunedì 7 febbraio 2022 presso la Casina dei
    Vallati- Via del Portico D’Ottavia, 29. Con saluti di Ruth Dureghello,
    Presidente della Comunità Ebraico di Roma e di Mario Venezia, Presidente
    Fondazione Museo della Shoah. Interverranno: Roberto Della Rocca, Ronny Jaffè e
    Amedeo Osti Guerazzi. Modererà l’evento Giorgio Caviglia. 

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