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    30 anni fa cadeva senza violenza il Muro di Berlino. Una vittoria rimasta a metà

    Trent’anni fa, il 9 novembre 1989 la caduta del Muro sorprese tutti. Fu improvvisa, inaspettata, meravigliosa. Appena pochi mesi prima, in gennaio, Erich Honecker, leader della DDR, la Repubblica democratica tedesca, aveva vaticinato che il Muro sarebbe rimasto intatto per cent’anni e nessuno lo aveva preso per pazzo. Le cose erano iniziate a cambiare in agosto, quando l’Ungheria aveva aperto i confini ai tedeschi dell’est che intendevano aggirare il Muro per spostarsi all’ovest e migliaia di persone ne avevano approfittato. In ottobre Honecker si era dimesso e al suo posto era salito al potere il suo vice Egon Krenz.

    Ma quando il ministro della Propaganda Schabowski alle 18 del 9 novembre annunciò la decisione di aprire immediatamente i posti di blocco fu un fulmine improvviso. Squarciò la notte della guerra fredda che proseguiva da decenni. Il ministro in realtà aveva improvvisato: dal Politburo non gli erano arrivate disposizioni precise su come procedere. Sapeva solo che la Sed, il partito comunista della DDR, aveva deciso che i berlinesi dell’est potevano viaggiare e varcare il confine con la Repubblica federale tedesca, previo apposito permesso. Incalzato dalle domande decise lì per lì. La massa dei berlinesi che si riversò ai varchi fece il resto.

    L’abbattimento del Muro fu una festa: una rivoluzione senza sangue alla quale parteciparono non solo i berlinesi o i tedeschi ma tutti quelli che seguivano col fiato sospeso lo sgretolamento della cortina di ferro in diretta tv. Non veniva abbattuto solo, dopo 28 anni, un muro alto 3,5 metri e lungo 155 km, 42 dei quali all’interno della città. Crollava il simbolo della divisione del mondo in blocchi e sotto i festosi colpi di piccone dei berlinesi quel muro veniva giù e col muro sembrava destinato a essere sepolto anche l’incubo dell’olocausto nucleare che aveva offuscato il mondo per quattro decenni. Ma per un attimo sembrò che fosse arrivata al capolinea anche la miriade di sanguinosi conflitti locali nei quali la guerra fredda si era combattuta a caldo, dal sudest asiatico al Medio oriente all’Africa. 

    Trent’anni dopo quelle speranze ci possono apparire ingenue. Il grande Muro è caduto ma al suo posto sono sorti ovunque, e continuano a moltiplicarsi, piccoli muri. Lo spettro di una guerra mondiale si è per ora dileguato ma il mondo è attraversato da guerre e conflitti nazionali o religiosi, come se la grande contraddizione del bipolarismo si fosse frammentata in una endemica guerra di tutti contro tutti.

    L’opera iniziata con la gioiosa distruzione del Muro è stata in un certo senso lasciata a metà. Se la trasformazione che sembrava a portata di mano 30 anni fa non si è realizzata, se le promesse non sono state mantenute, è forse perché il sistema sociale ed economico uscito vincitore dalla lunga guerra fredda, una volta rimasto senza rivali, si è considerato anche libero di non avere più freni, affrancato dall’obbligo di migliorarsi e correggersi dall’interno. E’ quello, forse il Muro invisibile che va abbattuto perché le speranze di quel 9 novembre 1989 possano realizzarsi.

     

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