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    Le terra trema e fa paura. Le calamità naturali nell’ebraismo, intervista a Rav Riccardo Di Segni

    La notte tra il 5 e il 6 febbraio 2023 un terribile evento calamitoso ha sconvolto la Turchia e la Siria. Due forti scosse hanno colpito l’area meridionale della Turchia e le regioni settentrionali della Siria. La terra ha poi tremato di nuovo, causando circa 19 mila vittime. Shalom ha intervistato il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni sull’approccio dell’ebraismo nei confronti delle calamità naturali.

     

    Qual è l’approccio dell’ebraismo alle calamità naturali? Ci sono episodi nelle scritture che parlano di queste tematiche?

     

    Calamità naturali sono citate in abbondanza nel Tanach, basti pensare alle carestie e alle piaghe in Egitto. Per quanto riguarda specificamente i terremoti, ai tempi del re di Giudea Uzzià (circa 783-742 av.e.v.) vi fu un rà’ash, lett. un gran rumore, che si interpreta come un terremoto, e la cosa è ricordata come un evento storico all’inizio del libro del profeta Amos e poi dal profeta Zecharia al cap. 14, che dice che in quell’occasione la gente scappò in massa; in quel brano il profeta annuncia un altro evento sismico che farà dividere in due il monte degli Ulivi, con una parte che si sposterà verso nord e l’altra verso sud.

     

    Esistono benedizioni contro questo tipo di eventi? Può farci qualche esempio?

     

    Si prega sempre per scongiurare calamità naturali o umane (come nella preghiera serale dell’hashkivenu). In occasione di pericoli imminenti o quando sono avvenute certe catastrofi (tra cui inondazioni, crolli di edifici, terremoti) si fa digiuno. Rambam (Hilkhot Ta’aniot 2:12) scrive: “per i crolli, quando? Se in una città c’è stato un aumento di crolli di mura sane che non stanno in riva al fiume [e per questo motivo è più probabile che crollino], questa è considerata una disgrazia [eccezionale] e si fa digiuno e si suona lo shofàr; e così anche per il terremoto e per i venti che abbattono le costruzioni e uccidono”.

    La tradizione inoltre prescrive di recitare delle benedizioni collegate al verificarsi di fenomeni naturali o alla vista di spettacoli naturali di grandezza e bellezza insolita per chi li contempla. Quindi c’è una benedizione da recitare per “saette, terremoti, tuoni, venti, lampi” come dice un antico manuale italiano di berakhòt: “sia benedetto il Signore della cui forza e potenza è pieno il mondo”. La regola potrebbe sembrare strana perché quando c’è un terremoto si pensa in primo luogo a scappare piuttosto che recitare benedizioni; ma l’idea è che ogni fenomeno naturale debba essere riconosciuto come il segno del dominio divino sulla natura; e poi è diverso il caso di chi improvvisamente si vede tremare e crollare tutto intorno, e ha l’obbligo di proteggere se stesso e gli altri, da chi con maggiore tranquillità, o a distanza avverte una scossa di terremoto. E poi l’idea è che bisogna benedire il Signore sia per le cose buone che per le cose negative. In ogni caso, nel momento del maggior pericolo è sempre bene pregare per la salvezza propria e altrui, e di frasi da dire ne sono state proposte diverse, la più semplice, che non richiede speciali preparazioni, è lo Shemà.

     

    C’è anche una preghiera che il Coen Ghadol diceva per proteggere “gli abitanti della pianura”, potrebbe spiegarlo? Dove lo troviamo?

     

    “Sulla gente dello Sharon diceva: Sia Tua volontà che le loro case non diventino le loro tombe” (pag. 394 del machazor di Kippur ediz morashà). Si spiega che il combinato effetto di piogge abbondanti in quella zona e di abitazioni precarie poteva produrre crolli, ma può essere anche legato a una situazione sismica; in ogni caso l’effetto del terremoto è proprio quello di trasformare l’abitazione in una tomba quindi l’espressione è purtroppo decisamente appropriata. Non dimentichiamo in ogni caso che oltre al quadro liturgico quello che è importante in queste situazioni è attivarsi per soccorrere, aiutare i soccorritori e assistere le vittime.

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