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    «Cambiare la Legge del Ritorno può portare a conseguenze catastrofiche» – Intervista al professor Sergio Della Pergola

    Con una lettera diretta al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, l’Agenzia Ebraica insieme alle Federazioni Ebraiche del Nord America (JFNA), il Keren Hayesod e l’Organizzazione Sionista Mondiale (WZO) hanno espresso la loro preoccupazione su questioni delicate come la Legge del Ritorno e la conversione, che come hanno spiegato le associazioni ebraiche “potrebbero minacciare i rapporti di lunga data tra Israele e la Diaspora”.

     

    Per capire quali potrebbero essere gli effetti di un’eventuale modifica di queste leggi, Shalom ha intervistato il professore Sergio Della Pergola, demografo e statistico naturalizzato israeliano. Titolare della cattedra di Studi sulla popolazione e le Comunità ebraiche all’Università Ebraica di Gerusalemme, è considerato tra i massimi esperti sulla popolazione ebraica mondiale.

     

    La Legge del Ritorno spiega Della Pergola «è stata approvata all’inizio degli Anni Cinquanta ed emendata nel 1970 a seguito di un caso che era sorto, per il quale c’è stato bisogno di definire chi fosse ebreo secondo la legge dello Stato».

     

    «È una vecchia consuetudine nello Stato Ebraico di non cambiare le cose se non c’è un motivo. – prosegue – Ora il motivo che è stato addotto, è che negli ultimi anni c’è un numero eccessivo di non ebrei, in particolari i nipoti non ebrei, che fanno l’Aliyah e che secondo alcuni, in particolare dai circoli nazionalisti e religiosi che fanno parte dell’attuale coalizione, mettono in pericolo l’ebraicità dello Stato d’Israele».

     

    «Se uno guarda attentamente ai numeri però è molto difficile dire che questi immigrati non ebrei possano mettere in dubbio l’ebraicità dello Stato, dove nel 2022 sono oltre 7 milioni gli ebrei secondo la halachà. Invece sono poco più di mezzo milione gli olim non ebrei, con i loro discendenti, in particolare mariti, mogli e figli di matrimonio misto, ai quali il Rabbinato d’Israele è restio a fare il ghiur».

     

    Di questo mezzo milione di non ebrei, circa 250mila hanno un’origine ebraica patrilineare. Una situazione simile è quella dei Beta Israel, ossia gli olim provenienti dall’Etiopia, dove una parte della popolazione, i Falash Mura, è stata convertita al cristianesimo e quindi non è più ebrea. «Ma in questo caso lo Stato ha deciso di riconoscerli, facendogli il ghiur e li ha fatti salire in Israele quasi tutti – sottolinea il professore – non è questo il caso di coloro che provengono dall’ex Unione Sovietica, e quindi dall’Ucraina e della Russia, dove all’interno delle famiglie ci sono membri che sono considerati a tutti gli effetti non ebrei. La presenza di non ebrei fra gli olim dai paesi occidentali è invece scarsa».

     

    «Cambiando la legge il non ebreo non potrebbe fare l’Aliyah, di conseguenza anche il membro della famiglia ebreo non la farà, perché chiaramente le famiglie non si divideranno» prosegue.

     

    «Questo contraddice in maniera plateale l’ideale sionista e dello Stato Ebraico: l’apertura alla Diaspora e la riunione di esse. – sostiene Della Pergola – Riunendo le Diaspore bisogna inevitabilmente tener conto delle caratteristiche delle diverse comunità, compresa una certa assimilazione. C’è poco da fare, bisogna prendere le Comunità così come sono, altrimenti discrimini all’interno della Diaspora. Spetta semmai a Israele educare queste persone all’ebraismo».

     

    «La questione quindi è questa: Possono decine di migliaia di non ebrei su 7 milioni “inquinare” l’ebraicità dello Stato d’Israele? Oppure questa piccola goccia in qualche modo scompare in questo mare? Avendo accesso ai dati io sono senz’altro dalla parte di coloro che dicono che è meglio non toccare la Legge del Ritorno» afferma.

     

    «Il paradosso è che gli stessi circoli non ritengono sia problematico incorporare nello Stato d’Israele la Giudea e la Samaria, in cui vivono due milioni e mezzo di Palestinesi».

     

    Secondo il demografo le conseguenze legate al cambiamento di questa legge rispetto ai benefici sono estremamente negative, dal punto di vista politico, economico ma soprattutto d’immagine. Da questo punto di vista, la seconda comunità ebraica più grande dopo quella in Israele, ovvero quella americana, gioca un ruolo determinante sia dal punto di vista economico, con gli aiuti economici del governo americano e delle donazioni, che da quello politico. «Se uno guarda da un lato i benefici, il non avere alcune migliaia di goym, che peraltro fanno il servizio militare e si inseriscono bene nella produzione e nell’economia, e dall’altro la perdita dell’appoggio degli Stati Uniti e dell’ebraismo americano; mettendo sulla bilancia queste due cose, la risposta sembra ovvia» sottolinea.

     

    Ma è possibile questo grande cambiamento della Legge del Ritorno?  «Netanyahu si è dichiarato contrario alla riforma, questo perché è un uomo di mondo e conosce perfettamente gli Stati Uniti e l’ebraismo americano. – spiega –  Si rende conto che è una decisione molto problematica». La questione però è: Netanyahu oggi ha la forza politica per dirigere le cose secondo le sue intenzioni, oppure non è piuttosto prigioniero della coalizione che si è creato? Difficile saperlo, sostiene Della Pergola, «Netanyahu non ha più la forza di una volta, è un come un viaggiatore che si trova all’interno di un aereo che è stato dirottato».

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