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    Nuovi rischi per Israele sul fronte iraniano

    Il pericolo più grave per la sicurezza di Israele viene dall’Iran, come dicono tutti gli esperti. Il regime degli ayatollah si propone esplicitamente di cancellare l’”entità sionista” dalla carta geografica e persegue questo obiettivo con i mezzi di uno stato con una superficie vasta sei volte quella dell’Italia e una popolazione una volta e mezzo maggiore, con una posizione geopolitica centrale e grandi ricchezze naturali. I teatri strategici principale di questa aggressione iraniana contro Israele continuamente dichiarata sono due: da un lato la realizzazione di un armamento nucleare che, col supporto missilistico già esistente, permetterebbe all’Iran di minacciare direttamente la distruzione delle città israeliane e dall’altro la costruzione di un potente apparato militare aggressivo ai confini di Israele: a sud Gaza con l’armamento di Hamas, a nord il Libano con l’uso dei terroristi satelliti di Hezbollah; a nordest la Siria, ancora attraverso Hezbollah e l’esercito siriano, ma anche con propri “volontari” che si avvicinano sempre più alla frontiera del Golan.

     

    Su entrambi gli aspetti, negli ultimi giorni sono arrivate pessime notizie. Per quanto riguarda l’armamento nucleare, si dichiara ormai apertamente che all’Iran manca pochissimo per diventare uno “stato alla soglia del nucleare” (“nuclear treshold state”), cioè per arrivare alla condizione in cui tutti gli elementi della bomba e della sua implementazione missilistica sono pronti e basta solo montarli assieme per mettere in opera l’armamento nucleare, il che si può fare in poche settimane. E’ un problema gravissimo, che dovrebbe essere affrontato come un’emergenza e che è stato raggiunto soprattutto per la colpevole inerzia dell’amministrazione Biden e dell’Unione Europea che hanno promesso all’Iran la ripresa dell’accordo nucleare di Obama, allentando in sostanza il blocco di Trump, senza chiedere nulla in cambio e senza reagire ai segnali dell’armamento iraniano. Fra qualche mese, probabilmente, non sarà più possibile arrestare questo meccanismo neppure essendo disponibili a usare la forza (ma né Biden né l’Europa e forse neppure il nuovo governo israeliano sono pronti a farlo). All’Iran allora basterà fermarsi e far sapere a tutti che le sue mosse ostili non potranno essere bloccate con rappresaglie o mezzi militari, perché potrebbe reagire con l’atomica.

     

    Per quanto riguarda invece l’assedio a Israele, per mezzo dei movimenti come Hamas e Hezbollah e del loro armamento con missili di precisione, l’esercito israeliano ha potuto negli anni scorsi controbatterlo con centinaia di bombardamenti aerei mirati in Siria, che è la via principale per cui devono passare armi e forze militari iraniane allo scopo di minacciare Israele. La gran parte dello spazio aereo della Siria, soprattutto a sud e a ovest, è però controllato dalla Russia, che in questi anni ha lascito svolgere all’aeronautica israeliana il suo lavoro a condizione di esserne informato. Era nato una sorta di coordinamento informale, che serviva anche ai russi per limitare l’egemonia iraniana e conservare senza sforzo il proprio potere in Siria. La cattiva notizia è qui che questo coordinamento non c’è più da alcune settimane, da quando cioè è nato il nuovo debole governo israeliano. Prima alcuni generali russi hanno annunciato diverse volte che alcuni bombardamenti israeliani sono stati impediti dall’esercito siriano grazie all’uso di antimissili russi di nuova generazione, poi sono hanno fatto alcune dichiarazioni in cui annunciavano pubblicamente di non ritenersi più legati ai vecchi accordi stretti fra Putin e Netanyahu e dunque di sentirsi liberi di agire solo sulla base degli interessi russi. Infine hanno fatto sapere che nell’incontro fra Putin e Biden si era parlato anche della Siria e che la Russia aveva l’accordo americano per bloccare le azioni israeliane. 

     

    Se queste dichiarazioni sono vere e non rientrano nella cortina di disinformazione che è tradizionale per la politica estera russa, o nella volontà di proteggere le proprie vendite di materiale militare che più volte è apparso impotente di fronte agli aerei americani adattati da Israele, la situazione che si prospetta è gravissima. Si prospettano due possibilità principali: o Israele smette il lavoro di interdizione e si trova ad avere ai confini truppe ostili modernamente armate sotto il comando iraniano e la protezione aerea russa, senza godere dell’ombrello americano; oppure continua le sue operazioni, col rischio assai probabile che prima o poi vi sia uno scontro fra aerei israeliani e antiaerea russa o fra aerei israeliani e russi: insomma un serio incidente militare.

     

    Non è chiaro come il nuovo governo intenda affrontare questi problemi; anche se Lapid e Bennett hanno molto corteggiato i democratici, in sostanza accettando senza protestare molti passi indietro rispetto a quel che aveva realizzato Trump, per esempio sul finanziamento dell’Unrwa o sulla riapertura del “consolato” di Gerusalemme (che funzionava in passato come ambasciata ufficiosa presso l’Autorità Palestinese), non si sa ancora quando potrà aver luogo un incontro al vertice fra Bennett e Biden. Anche con Putin c’è stata una telefonata di presa di contatto, ma nessun incontro diretto è previsto. Molti nodi stanno venendo al pettine: possiamo solo sperare che Israele riesca ad affrontarli al meglio.

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