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    Un rapporto di Amnesty International pieno di menzogne contro Israele

    “Un sistema crudele di dominio e di crimini contro l’umanità” … “segregazione” … “repressione brutale” … “dominazione”… “spossessamento ed esclusione”… “oppressione prolungata di milioni di persone”: di chi si parla in questi termini? Del nazismo? Delle colonie europee in Africa? Oggi della Cina in Tibet e con gli Uiguri? Dell’Isis? No, sono alcune delle calunnie che, insieme al termine chiave “apartheid” compaiono sull’ultimo rapporto di Amnesty International contro Israele, appena pubblicato e molto propagandato sui media. È un linguaggio così insensato da aver suscitato perfino lo sdegno del nuovo ambasciatore americano a Gerusalemme, Thomas Nides, nominato da Biden per cercare di annullare le politiche pro-Israele di Trump. Nides ha twittato sul rapporto così: “Ma dai, è assurdo. Questo non è il linguaggio che abbiamo usato e che useremo”. Hanno naturalmente protestato tutti i giornali e i diplomatici israeliani. 

     

    In realtà Amnesty International non è affatto nuova a queste sparate. Insieme ad altre associazioni che in teoria dovrebbero occuparsi di diritti umani e magari un tempo lo facevano, ha seguito un percorso di radicalizzazione politica che l’ha messa in prima fila nella guerra diplomatica e mediatica contro Israele. Amnesty ha fatto campagne contro lo stato ebraico nel 2005, nell’11-12, nel 14-15, nel 19-20, sempre mostrando una totale parzialità nei confronti dei gruppi palestinisti e astenendosi dal prendere in considerazione il terrorismo. Anche esplorando questo rapporto di ben 280 pagine, non vi si trovano mai parole come “terrore” “bombe”, “terroristi suicidi”, “accoltellamento”, in generale non si parla del terrorismo palestinista, di quello degli attentati suicidi con le bombe che faceva strage in negozi, autobus, centri di ritrovo fino alla costruzione della barriera di protezione, come di quello “popolare” che ancora miete vittime in questo periodo. E d’altro canto non vi è traccia nel rapporto del fatto che i cittadini arabi di Israele godono di pieni diritti politici economici e sociali, che membri della loro comunità sono giudici della corte suprema, ministri, deputati, professori universitari, ufficiali di polizia, imprenditori, personaggi sportivi e televisivi. Anzi, si sostiene senza alcuna prova e contro l’evidenza, che essi sarebbero “oppressi” ed “espropriati”, soggetti dunque ad “apartheid” quasi come i sudditi dell’Autorità Palestinese. 

     

    Amnesty in sostanza racconta che lo Stato di Israele sarebbe nato nel 1948 sulla base di un progetto “razzista” di “privilegiare gli ebrei” e usa come “prova” la “Legge del ritorno” e sullo “stato nazionale del popolo ebraico”, senza considerare che gli stati nazionali sono la grande maggioranza al mondo. Altre prove di “razzismo” vengono inventate analizzando in maniera del tutto scorretta i dati sulla terra: gli ebrei sarebbero colpevoli di aver espropriato le proprietà degli arabi passati al nemico, mentre naturalmente della distruzione e dell’appropriazione dei quartieri ebraici di Gerusalemme, Hebron e dei villaggi di Giudea e Samaria da parte della Giordania non si parla. Non si nomina la volontà genocida esplicitamente dichiarata da parte araba e palestinista come obiettivo di guerre e terrorismo, che sono durati per decenni e ancora continuano ma si condanna sempre l’autodifesa ebraica. Insomma si sposano, senza alcun contraddittorio, le posizioni più estreme del campo palestinista. 

     

    L’argomentazione è quasi sempre condotta in maniera del tutto parziale e propagandistica: si cita in maniera ingannevole una mezza frase di Netanyahu, ignorando il contesto che la precisa, si manipolano le cifre statistiche per dimostrare che Israele spossessa e opprime i palestinesi. Le proposte che concludono il rapporto chiedono il “ritorno” di molti milioni di parenti degli arabi fuggiti nel ‘48 e nel ‘67, cioè in pratica la distruzione dello Stato di Israele. E per ottenere questo risultato si propone il boicottaggio dell’economia israeliana, la chiusura di ogni fornitura di mezzi di autodifesa, il blocco delle personalità politiche e militari israeliane “colpevoli” del “reato di apartheid”. 

     

    Beninteso, il rapporto ignora il fatto che la vera e programmatica apartheid vige nei territori controllati dall’Autorità Palestinese, come del resto nella maggior parte degli stati arabi, dove nessun ebreo può vivere e neanche passare senza rischiare la vita. Si parla dei terroristi arabi come “prigionieri di coscienza” non violenti e detenuti illegalmente, addirittura regolarmente torturati, ignorando il fatto che la loro “non violenza” è costellata di assassini di donne, vecchi e bambini e che le carceri israeliane sono gestite secondo norme molto illuminate e tolleranti, sotto il controllo della magistratura, e che per esempio molti detenuti sono autorizzati a studiare e spesso si laureano presso prestigiose università israeliane.

     

    Insomma, il “rapporto” è una sequela di falsità propagandistiche che hanno il solo scopo di demonizzare lo stato di Israele e di cercare di facilitarne la distruzione. Viene in mente il fatto che secondo la definizione di dell’IRHA, “negare i diritti nazionali del popolo ebraico” è uno dei modi caratteristici dell’antisemitismo attuale: l’accumulo di tante menzogne non si spiega se non sulla base di un fanatismo antisemita. Ma questo evidentemente ai dirigenti di Amnesty International sta bene, magari con la speranza che si avveri la previsione di Joseph Goebbels: una menzogna ripetuta all’infinito diventa per tutti verità.

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