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SPECIALE PESACH 5784

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    Shavu’òt: Chi è libero? I significati di una festa che celebra la consegna della Legge

    I figli d’Israele uscirono dall’Egitto il 15 del mese di Nissàn e questo mese è considerato il primo dell’anno contando gli anni dall’uscita dall’Egitto. Il secondo mese è Iyàr e il terzo, Sivàn. Nella Torà è scritto: “Nel terzo mese dell’uscita dei figli d’Israele dalla terra d’Egitto, nel giorno stesso [cioè il primo del mese] essi arrivarono nel deserto del Sinai” (Shemòt, 19:1). La Rivelazione del Sinai durante la quale i figli d’Israele sentirono i Dieci Comandamenti e fu data loro la Torà avvenne dopo alcuni giorni di preparazione e per questo festeggiamo Shavu’ot il sesto giorno del mese di Sivàn.

    R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 595) descrive Shavu’òt come “Festa della libertà spirituale”.  Egli scrive che vi sono tre tipi di libertà: la libertà politica ha luogo quando ci si libera dal gioco straniero e si diventa indipendenti. Questa libertà la si festeggia a Pèsach quando i figli d’Israele diventarono liberi uscendo dall’Egitto. Il secondo tipo di libertà è la libertà economica che ha luogo quando non si ha bisogno di assistenza altrui e si è economicamente indipendenti. Questa libertà viene festeggiata a Sukkòt quando alla fine della stagione del raccolto si ringrazia il Creatore per i frutti della terra. Il terzo tipo di libertà è la libertà morale e la festeggiamo a Shavu’òt.  

    Questo concetto è spiegato da r. Yitzchak ‘Arama (Zamora, 1420-1484, Napoli) nella sua opera ‘Akedàt Yitzchàk (67) dove è scritto che i malvagi sono schiavi dei loro istinti e solo la libertà morale li può liberare. Qual è la libertà morale? Quella che deriva dalle tavole della legge che ci furono date a Shavu’òt.  Questo concetto viene insegnato dai Maestri nei  Pirkè Avòt (Massime dei padri, 6:2) dove citando il versetto: “«Le tavole della legge sono opera di Dio e lo scritto è scrittura di Dio scolpita sulle tavole» (Shemòt, 32:16)[i Maestri affermano]: non leggere charùt (scolpito) ma cherùt (libertà), perché veramente libero non è se non colui che si occupa della Torà. E chi si occupa della Torà è un uomo che si innalza; come è detto (Bemidbàr, 21:19): «Dal dono, al retaggio di Dio e dal retaggio di Dio alla elevazione»” (Pagine di Morale Ebraica, R. Carabba Editore, Lanciano, 1931, Traduzione dall’ebraico, introduzione e commento di Yoseph Colombo).

    R. Shimshòn Rafael Hirsch (Embargo, 1808-1888, Francoforte) nel suo commento ai Pirkè Avòt scrive: “La Torà ci nobilita e il suo assiduo studio ci rende liberi dagli errori, liberi dalle tentazioni fisiche e dal degradante potere delle tante preoccupazioni e dei problemi della vita quotidiana”.  

    R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (Vaykrà, p. 185)  afferma che i Maestri ci hanno insegnato che la liberazione dalla schiavitù che avvenne a Pèsach fu solo l’inizio delle nostra redenzione. Quando l’Eterno annunciò a Moshè che avrebbe fatto uscire il popolo d’Israele dall’Egitto, usò quattro espressioni: “E farò uscire”, “E salverò”, “E redimerò” e infine “E vi prenderò per Me come popolo” (Shemòt, 6:6-7). Le prime tre si riferiscono alla liberazione dalla schiavitù. La redenzione fu completa solo al Monte Sinai quando il popolo d’Israele ricevette la Torà.

    E fu una cosa straordinaria che un popolo di schiavi divenne un popolo libero con una sua legge nel breve periodo di cinquanta giorni.

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