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    Commento alla Torah. Parashà di Shoftìm: i dispensati dalle armi

    Verso la fine della parashà la Torah tratta l’argomento di chi viene dispensato dall’andare in guerra: “Gli ufficiali diranno al popolo: «C’è qualcuno che abbia costruito una casa nuova e non vi abbia ancora abitato? Vada, torni a casa, perché non muoia in battaglia e un altro vi abiti. C’è qualcuno che abbia piantato una vigna e non ne abbia ancora usato il primo frutto? Vada, torni a casa, perché non muoia in battaglia e un altro lo usi. C’è qualcuno che si sia sposato con una donna e non abbia ancora convissuto con lei? Vada, torni a casa, perché non muoia in battaglia e un altro la prenda». Gli ufficiali aggiungeranno al popolo: «C’è qualcuno che abbia paura e a cui venga meno il coraggio? Vada, torni a casa, perché il coraggio dei suoi fratelli non venga a mancare come il suo»”(Devarìm: 20: 5-8).

    Rashì (Francia, 1040-1105) nel suo commento spiega che è cosa angosciosa morire in guerra senza aver potuto andare ad abitare nella casa appena costruita. Egli aggiunge che il versetto che istruisce a chi ha paura di tornare a casa, tratta di colui che ha paura di andare a combattere perché si sente colpevole per via dei suoi peccati. Egli cita R. Yosè il Galileo che afferma che la Torà ha elencato le esenzioni di chi ha costruito una casa nuova, ha piantato una vigna o ha sposato una donna in modo che la gente dica che è tornato a casa per uno di questi motivi e non perché ha paura. Nel Talmud Yerushalmì (Sotà, 8:9) i maestri insegnano che tutti coloro che vogliono essere dispensati dal servizio militare devono portare testimoni sulla casa, sulla vigna e sulla moglie.

    R. Meir Simcha Hakohen di Dvinsk (Lituania, 1843-1926, Riga-Lettonia) spiega che nel versetto è scritto: “vada e torni a casa” e non “torni e vada a casa” perché coloro che vengono dispensati dal combattere devono ugualmente “andare” a riparare le strade e a fornire cibo e bevande ai combattenti. E solo a guerra finita potranno “tornare a casa”.  

    R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 352) osserva che è strano che chi ha dei palazzi di tre o quattro piani che valgono un’enormità è obbligato ad andare a combattere e non deve avere timore che le sue proprietà finiscano nelle mani di altri; mentre chi ha appena costruito una casetta di dimensioni minime viene esentato per timore che un altro vi vada ad abitare se muore in guerra. Così pure chi ha moglie e sette figli deve andare a combattere anche se non sa chi manterrà la famiglia se muore in guerra; mentre colui che ha dato l’anello alla moglie ma non l’ha ancora portata sotto la chuppà e vissuto con lei può essere dispensato dal combattere.

    R. Elyashiv risponde che chi possiede tanti palazzi non pensa a nessuno di loro in particolare e pertanto non li ha in mente quando va a combattere. E invece il poveretto che solo dopo tanti anni è riuscito a costruirsi una casetta o a piantare una vigna, non può fare a meno di pensare a quello che ha lasciato a casa. Per una persona in questa situazione c’è da temere che muoia in guerra perché non può concentrarsi nel combattere. Tutte queste regole valgono solo per le guerre che non sono obbligatorie. Per le guerre obbligatorie come per quelle di Yehoshua’ per la conquista di Eretz Israel o per difendersi dalle invasione del nemico, non vi sono esenzioni per la casa, per la vigna o per la moglie. R. Elyashiv spiega che se il popolo d’Israele non ha la propria terra che importanza hanno la casetta e la vigna? E fino a che Israele non ha la propria terra non vi è di che gioire.  

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