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    Nathan e l’invenzione di Roma. Nel libro di Fabio Martini il ritratto del sindaco che ci vorrebbe anche oggi

    È stato il miglior sindaco della Capitale e nel momento in cui si rinnova il consiglio comunale, riflettere su Ernesto Nathan è essenziale. Ci aiuta un libro, Nathan e l’invenzione di Roma, scritto da Fabio Martini, penna di punta del giornalismo parlamentare per La Stampa. Il libro è godibilissimo, pieno di aneddoti, si legge come un romanzo e traccia le innovazioni di Nathan. Ne parliamo con l’autore.  

     

    Chi era Ernesto Nathan?

     

    È passato alla storia come il più grande sindaco di Roma. È stato comunque uno dei sindaci più importanti d’Italia. Dal 1097 al 1913, in sei anni (un periodo lungo visto che i sindaci all’epoca duravano poco) modernizzò Roma e diede il senso che un cambiamento forte era possibile anche in una città che fino a quel momento era stata sonnacchiosa e sorda ai mutamenti.

     

    Quali sono le sue rivoluzioni all’interno della città, parliamo di una Roma dove sono già arrivati i piemontesi, sono stati costruiti i muraglioni e Prati di Castello, ecc… Cosa ha portato dal punto di vista urbanistico e nelle partecipate?

     

    Diverse grandi novità. I servizi pubblici erano in mano a privati monopolisti con prezzi alti e servizi modesti, anziché espropriarli, com’era plausibile visto che erano state nazionalizzate le ferrovie nel 1905, la giunta formata da socialisti, liberali e democratici decide di creare due piccole aziende pubbliche che fanno concorrenza ai privati in modo da demotivarli con un servizio che costa meno dal punto delle tariffe, che è migliore dal punto di vista qualitativo e che induce i privati rapidamente a lasciare il campo. Alla fine degli anni ’20, Roma ha un sistema tranviario tra i migliori d’Europa e l’azienda elettrica diventa un modello che si prolungherà per decenni.

     

    È anche importantissima la squadra di governo. Si tratta di persone competenti ma con una forte connotazione politica, i tecnici dell’amministrazione Nathan hanno tutti la tessera oltre che una forte spinta ideale. Vengono costruite più scuole in sei anni che nei 37 precedenti per far fronte al problema dell’istruzione gratuita per i poveri.

     

    Tra le tante realizzazioni, oltre al primo piano regolatore della città per regolamentare lo sviluppo caotico e speculativo, ci sono anche quelle meno note ma che danno il segno di un decisionismo positivo. Un caso fra i tanti, in vista del cinquantenario dell’unità d’Italia, si decide a livello nazionale che Roma debba avere uno stadio. Si stanzia un milione di lire, ebbene nel 1915 lo stadio non soltanto viene realizzato ma con sole 800mila lire grazie a una politica di bilancio attenta e un’onestà straordinaria, prerogative di Nathan.

     

    C’è anche la valorizzazione di figure al momento sconosciute come quella della giovane maestra Maria Montessori che aveva creato una sezione di asilo poi successivamente chiusa. Montessori si rivolge allora a Nathan, il sindaco le dà fiducia e, grazie a quell’appoggio, il modello Montessori potrà allargarsi e diventare un modello in tutto il mondo.

     

    Ci sono poi Saint Just e Montemartini che sono i suoi collaboratori…

     

    Esattamente. Per scrivere il piano regolatore, Nathan chiama un personaggio fuori dall’ambiente consociativo romano, un ingegnere del genio che lavora a Milano e gli dà l’incarico di disegnare un piano urbanistico che faccia gli interessi dei cittadini romani, non linee e curve in base agli interessi di uno o dell’altro. Quel piano è rimasto esemplare, non a caso rapidamente superato negli anni successivi quando i poteri forti riprenderanno il possesso della città.

     

    Quanto conta l’ebraismo nella figura di Nathan?

     

    Le sue origini contano molto. Al carattere di Nathan contribuiscono tante cose, ma soprattutto il fervore etico tipico dell’educazione ebraica di tradizione tedesca venuta dal padre, ma anche dalla madre, Sarina Nathan, proveniente dalla comunità di Pesaro che aiutò Giuseppe Mazzini in tutta la sua vita tribolata. Quello di Nathan è un ebraismo cosmopolita, etico, fiducioso che i propri valori fossero quelli dell’Italia fondata sulla libertà della religiosa e politica. Nathan era nato da genitori ebrei, aveva sposato una donna ebrea e negli anni dell’infanzia aveva introiettato dalla cultura dei genitori l’anelito a provare a costruire il paradiso sulla terra e il valore a provare a migliorare. Il suo ingresso alla guida di Roma dopo 37 anni di sindaci aristocratici, principi, cattolici fu salutata con espressioni spesso triviali dalla stampa cattolica.

     

    Perché crolla la giunta Nathan? Per il patto Gentiloni, ovvero l’accordo tra l’allora presidente del consiglio Giovanni Giolitti e i cattolici?

     

    È una teoria ben solida nella spiegazione degli storici. Nathan e la sua amministrazione chiudono la loro esperienza senza aver mai perso un’elezione. Allora non si votava soltanto per il cambiamento complessivo del consiglio comunale, ma c’erano elezioni di mezzo termine che rinnovavano una parte del consiglio e Nathan le vince tutte. Nathan lascia perché percepisce che l’appoggio di Giolitti era venuto meno e stavano maturando nuove alleanze a livello nazionale e locale. Quando Giolitti concede il suffragio universale maschile, prevede l’ingresso sulla scena degli elettori cattolici (il cosiddetto patto Gentiloni ndr). E per mantenere il potere i liberali, che avevano precedentemente guardato a sinistra con Nathan e con i socialisti, cambiano e si alleano coi nazionalisti e coi cattolici in vista delle elezioni del 1913. Nathan capisce che non c’è più terreno sotto i piedi e si dimette. Nelle successive elezioni comunali, l’asse nazionalisti, liberali cattolici, seppur di poco, prevale anche a Roma.

     

    Qual è la lezione che il nuovo sindaco deve apprendere da Nathan?

     

    All’uscita del mio libro, molti giornali e alcuni politici hanno detto “servirebbe un altro Nathan”. Ma in cosa fu unico Nathan? Di fronte all’opacità e alla difficoltà di cambiare le cose, la sua lezione è quella che ci si deve andare con fortissimi ideali e forte volontà di trasformarli in azioni pratiche, un elemento della cultura ebraica inglese. I tratti di Nathan sono l’indipendenza dai poteri, fatto abbastanza inimitabile, e il coraggio che vuol dire reggere davanti alle resistenze. Sarebbe già tanto.

     

    Chiudiamo con la battuta più famosa?

     

    Non c’è trippa per gatti. Era una voce nel bilancio capitolino perché i gatti mangiavano i topi che mangiavano gli archivi. E lui la tagliò coniando la famosa battuta.

     

    L’intervista è finita, ma è appena un assaggio di questo libro in cui ci si immerge con il piacere e il gusto di scoprire la storia della città eterna e di un sindaco mai dimenticato.

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