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    I NUOVI INSULTI ANTISEMITI: ISRAELE AL POSTO DI EBREO

     

    La mesta vicenda degli insulti a Liliana Segre, sulla quale non intendiamo ritornare, a meno di clamorosi quanto imprevisti sviluppi,  può essere servita per costringerci a riflettere sugli anticorpi necessari. La nostra esperienza ci insegna che i metodi soltanto repressivi non fanno che attribuire fascino allo squallore: ci si sente trasgressivi e si finisce per legittimare quanto appartiene agli istinti più bassi dell’essere umano. Salire in cattedra e  condannare diventa un atto non molto diverso da chi volesse spegnere il fuoco con la benzina, perché si ottiene il solo esito di ravvivare l’odio,  conferendogli addirittura una sua dignità.

    Ormai sono pochi gli antisemiti che insultano gli ebrei in quanto tali, avendo imparato, costoro, che  basta sostituire la parola “ebreo” con “sionista” per ottenere un risultato ancora migliore di quello raggiunto in passato. E poi, chi dovremmo condannare? Ci sono testate che hanno trovato questo stratagemma: anziché scrivere che Israele è attaccata da migliaia di razzi e che è salva per miracolo e finché tiene l’Iron Dome, capovolgono 

    la notizia, titolando in grande evidenza l’attacco israeliano (invariabilmente chiamato “raid”, ossia, incursione), col conteggio delle vittime, per poi scrivere in basso in caratteri molto più piccoli, che era una risposta al lancio di razzi. 

    Nel Vobabolario Treccani la prima accezione di razzo è “rażżo s. m. [lat. radius «raggio»]. – 1. a. Fuoco d’artificio formato da un cannello di cartone pieno di polvere pirica a deflagrazione piuttosto lenta, munito di un’asticciola o cannuccia che serve a stabilizzarne la traiettoria, e di una testata contenente fuochi di guarnizione, che si accendono quando è esaurita la carica propulsiva: i prodotti della combustione, uscendo a velocità elevata dall’orifizio rivolto verso il basso, ne provocano per reazione il rapido  sollevamento: accenderetirarefar partire un r.;”. Infatti, l’impressione che se ne trae è che Israele risponda in modo sanguinoso ai fuochi d’artificio.

    Quando si parla di Gaza, non si dice che ha anche un’uscita con l’Egitto, non si dice che è nelle mani di un’organizzazione terroristica, non si dice che Israele la rifornisce di tutto punto e, soprattutto, non si dice che Israele è salva per caso grazie al dispositivo Iron Dome né si dice che gli israeliani vivono sotto il terrore di essere uccisi da un momento all’altro.

    Cos’è tutto ciò se non un discorso di odio? E noi cosa faremo? Monitoreremo? La questione è, come vedete, assai complessa. Quando un’organizzazione umanitaria che chiede dei contributi in denaro al pubblico, scrive sulla Guerra dei Sei giorni un testo che non ne menziona assolutamente il carattere difensivo, spacciandola per guerra di conquista, pratica un linguaggio d’amore o di odio?  Quando il nome ‘Soros” è usato impropriamente come sinonimo di ‘ebreo’, è amore oppure odio? Lavorare stanca, scriveva Cesare Pavese, ma anche ragionare (e lavorare) sono impegni necessari e improrogabili.

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