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    27 gennaio, la memoria non può essere un boomerang

    È accaduto, accadrà di nuovo: così negli effetti speciali in introduzione per “Armageddon” celebre film del 1998. Fu l’impatto dell’asteroide che 65 milioni di anni fa estinse i dinosauri su un pianeta rigoglioso. Grazie al film, e a quello immediatamente successivo e concorrente “Deep impact”, la NASA avviò Near Earth Objects il programma che traccia e identifica i corpi solidi in avvicinamento alla Terra. Salverà il nostro pianeta. 

    Quarantotto mesi prima, nel 1994 in Ruanda, nei 100 giorni dal 7 aprile al 15 giugno un milione di uomini e donne, vecchi e bambini, di etnia tutsi erano stati scientificamente massacrati con pistole e machete. Dagli hutu, etnia rivale ma mescolata in più modi con le vittime di una competizione alimentata nell’età coloniale. Era, appunto, accaduto di nuovo. E neppure si vedeva in corso una guerra mondiale. La memoria può fallire gli obiettivi dichiarati. Auschwitz-Birkenau mai riuscì a raggiungere un analogo livello di efficienza durante la Shoah. 

    Proprio il 6 giugno 1994 ricorreva – per un caso sinistramente simbolico – anche il cinquantesimo anniversario del D-Day, lo sbarco degli alleati in Normandia e l’inizio della fine per il Terzo Reich nazionalsocialista della Germania. In Ruanda gli artigiani del genocidio furono dunque più efficaci della tecnologia nazista. Sapevano cosa fare e come farlo, avevano studiato. Se si vuole veramente, si può. 

    Le situazioni genocidarie (termine di origine francese coniato al tempo della disgregazione della Jugoslavia socialista) successive alla Seconda guerra mondiale avevano fino al 1994 ripetuto la modalità per così dire “armena”. C’è una guerra, si teme l’attività ostile di una determinata popolazione o frazione della società, si prendono provvedimenti terroristici e un gradino dopo l’altro si arriva infine allo sterminio di massa: Biafra, Cambogia, Sudan meridionale. Sotto gli occhi di un mondo sostanzialmente indifferente, come poi accadde con il Ruanda. Tuttavia il caso dei tutsi rivelò a chi volle vederla una realtà nuova. Le grandi potenze sapevano, decisero di non intervenire. Intervennero però a cose fatte. Ma non esisteva la condizione di guerra planetaria e non c’erano né la Wehrmacht né le divisioni corazzate SS a bloccare le vie l’accesso verso l’universo concentrazionario del Terzo Reich. Le istruzioni per il genocidio programmato e scientifico esistevano, furono perfettamente, volontariamente e scientificamente eseguite anche senza i treni di Adolf Eichmann e il gas Zyklon-B. Un decennio prima del genocidio nel paese delle “mille colline verdi” la memoria della Shoah aveva iniziato il proprio percorso su ogni disponibile mezzo di formazione e informazione. Ovviamente non c’era stato nessun effetto boomerang e nessun feedback da ribaltamento in negativo. Più semplicemente, la memoria non è sufficiente per la prevenzione. Anzi, nelle condizioni attuali delle società umane è impossibile prevenire o impedire il genocidio studiato, programmato e fornito di logistica adeguata. Tuttavia una vittima predestinata, se armata e consapevole del rischio, potrà in qualche modo difendersi. 

    La memoria onora le vittime del passato e aiuta quelle potenziali a prendere consapevolezza del rischio. “Zachor”, ricorda in forma imperativa, è prescrizione ricorrente per il popolo di Israele nel dettato biblico. Ricordare per prendere coscienza positiva sé dopo la schiavitù in Egitto e il duro passaggio nel deserto sotto le insidie dei nemici. A dispetto delle apparenze non è tale purtroppo il caso degli ebrei di oggi nella diaspora, ed è questo il luogo per ribadirlo. Anche ottanta anni dopo la Shoah continuano ad affidarsi alla benevolenza dei governi e delle più svariate autorità. 

    La strategia è adesso quella della colpevolizzazione preventiva: evitate di trasformarvi in malvagi operatori del male assoluto. Finché dura, funziona. Poi tutto può cambiare nel giro di pochissimi anni, come dimostrò la Germania di Weimar. È sempre spiacevole la contabilità dei morti, soprattutto se bambini, donne, anziani. Una serie di massacri – compiuti dalle autorità di Stati con la vocazione per il crimine militarizzato e da bande di guerrieri senza scrupoli – si dovranno comunque punire, ma non vanno confusi con l’eliminazione premeditata di intere collettività “diverse” per etnia o religione. E invece verifichiamo ormai su ogni mezzo di informazione l’abuso insensato del termine, che trasforma in banalità quotidiana le stragi del passato e del presente.

    Nel caso degli ebrei, Israele ha saputo dotarsi della volontà e dei mezzi per scongiurare il genocidio più volte tentato dal mondo arabo e islamico tra il 1947 e il 1973. Il risultato paradossale, ma non tanto, fu ed è che l’accusa di meditare un genocidio ricade da decenni sulla vittima che è riuscita a sopravvivere e prosperare.

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