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    Israele e il genocidio armeno, tra riconoscimento e realpolitik

    Caro lettore, questo articolo è impegnativo. Ti chiedo di proseguire la lettura sino in fondo. Inevitabilmente, su molte questioni ho dovuto operare dei tagli, cercando tuttavia di evidenziare i principali snodi e le forze in gioco.

     

    PER INQUADRARE IL PROBLEMA

    Il Metz Yeghern, il Genocidio Armeno, è stato il secondo genocidio del Novecento, perpetrato dal governo ottomano dei Giovani Turchi con ampie complicità tedesche. Pochi anni prima, il governo tedesco s’accanì, con il “protogenocidio”, contro le popolazioni africane degli Herero e dei Nama, sterminandole.

    Il Metz Yeghern fu preceduto da due fasi: 1). 1894-96 i massacri hamidiani (dal nome del sultano Abdul Hamid), con 150.000/300.000 morti; 2). l’eccidio di Adana, nell’aprile del 1909, con circa 30.000 morti. Seguì il genocidio vero e proprio (1915-1922), con la fase “acuta” negli anni ’15-’17. A 1.500.000 armeni massacrati, si assomma lo sterminio di circa 350.000 cristiani greci del Ponto e di 700.000 cristiani assiri.

    La parola genocidio è un neologismo coniato dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, sopravvissuto alla Shoah, pensando anzitutto al dramma patito dagli armeni: vi furono premeditazione, negazionismo intragenocidario e postgenocidario, deportazioni -anche via treno-, marce della morte, soluzione finale, esperimenti medici.

     

    GLI ARMENI E LA STAMPA ASHKENAZITA

    Dal secondo Ottocento, in Germania, per rafforzare gli accordi geopolitico-commerciali tra il Secondo Reich e il decadente Impero Ottomano, gli armeni -pur cristiani- vengono screditati agli occhi della popolazione, con l’applicazione di stereotipi antisemiti da parte della stampa, dell’accademia e della diplomazia tedesche. Se gli ebrei sono dipinti come nocivi per l’Europa, divorando la ricchezza dei popoli e bacandoli dall’interno, gli armeni nell’Impero Ottomano sono addirittura uberjuden (superebrei), sì che “per fare un armeno ci vogliono dieci ebrei”. I principali giornali tedeschi ricorrono anche a vignette antisemite per diffamare gli armeni, mentre la locale stampa ebraica si leva sovente a loro difesa. Questa lunga fase, fino all’imperversare del Genocidio, coincide con l’avvio e lo sviluppo in Germania (tanto a livello diplomatico che accademico) dell’Islampolitik, con ripercussioni tremende -sino al nazismo incluso e oltre-. È la stessa epoca in cui l’Europa subisce il fascino del Vicino Oriente coloniale e in cui le leadership culturali dell’ebraismo mitteleuropeo alimentano perlopiù acriticamente il mito “arabo-islamo-andaluso” per sostenere un’inedita forma di convivenza civile e politica che preveda l’inclusione di cittadini ebrei.

    La storia ebraica degli ultimi lustri dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento è sfigurata da ondate di terribili e devastanti pogrom; dai massacri in Bessarabia (1903;1905); e dalla diffusione dei falsi Protocolli dei Savi di Sion. Se, per gli armeni, i russi costituiscono una speranza di affrancamento dagli Ottomani e un potenziale alleato, al contrario, per gli ebrei, l’Impero Ottomano appare un partner molto più affidabile.

     

    I MASSACRI HAMIDIANI E GLI EBREI SEFARDITI

    Il 1892 coincide con il IV anniversario dell’espulsione dalla Penisola iberica. Gli ebrei ottomani, consci della crisi dell’Impero, salutano il sultano Abdul Hamid II -il carnefice che a breve massacrerà migliaia gli armeni- come novello Bayazid II (il sultano che secoli prima accolse -non senza tornaconto, ma comunque meritoriamente- gli esuli ebrei di Spagna, Portogallo e Italia meridionale). I sefarditi -pur sottomessi all’Islàm turco con alterne (e talora dolenti) vicende, ma anche con prosperità- ringraziano così il Califfo-sultano per la secolare cittadinanza religiosa “di serie b” loro concessa rispetto alle persecuzioni nell’Europa cristiana, e, al contempo, si descrivono come un millet (nazione/comunità etnico-religiosa) fedelissimo. Lo stesso fanno gli armeni. È interessante, e non secondario, cogliere la rivalità tre le due realtà minoritarie (anche se gli armeni erano più numerosi degli ebrei) nel presentarsi ambedue come “fedeli” rispetto al dominatore islamico, laddove il lessico che autorizzerebbe la “benevolenza” del padrone è quello della “fedeltà” (e l’infedeltà risulta così essere il suo esatto contrario politico), sull’archetipo impari-poligamico del maschio (dominante per diritto religioso e di conquista) a cui sono sottomesse le donne (ossia le varie comunità etniche-religiose), latrici di un qualche diritto se “fedeli”, ovvero se la subalternità esistenziale e politica è introiettata e manifesta.

    La feroce rivalità tra le minoranze è costante e senza esclusione di colpi, sia tra le nazioni cristiane (armeni, assiri, greci) sia tra queste e gli ebrei. Se questi ultimi, per ragioni ben comprensibili, cercano di ingraziarsi i turchi musulmani, i cristiani d’Oriente -sin dall’arrivo degli esuli ispano portoghesi nel XV sec.- diffondono prontamente l’infame accusa di “crimine rituale” (la cui prima occorrenza è registrata a Erzurum, in una provincia a maggioranza armena) destinata a imperversare -specie nella seconda metà dell’Ottocento- contro gli ebrei (Affare di Damasco e simili). Frattanto la stampa turca informa di come musulmani ed ebrei patiscano entrambi le violenze dei russi -raffigurati come sobillati dagli armeni- nei territori conquistati e sui confini, accomunando così le due sofferenze in un’unica narrazione.

    Vi è un altro punto essenziale. I cristiani d’Oriente -armeni in primis– s’illudono che le potenze europee intervengano a loro tutela presso l’Impero Ottomano. Gli ebrei sefarditi, al contrario, ben comprendono che, se è assai improbabile che gli occidentali si spendano in difesa dei loro fratelli cristiani d’Oriente, mai costoro soccorrerebbero degli ebrei: conviene, quindi, far passare la tempesta. Non stupisce dunque che, durante i Massacri Hamidiani e il Genocidio, le comunità ebraiche ottomane, minoranza tra le minoranze, perlopiù si voltino dall’altra parte (salvo casi isolati). E, per quanto questo resti un fatto amarissimo e sconsolante, è purtroppo arduo pensare che altre strade fossero percorribili.

     

    IL METZ YEGHERN E GLI ASHKENAZITI

    Nel 1933, al momento dell’ascesa del nazismo, lo scrittore ebreo Franz Werfel, all’epoca celeberrimo in Europa per le sue opere teatrali, pubblicò I Quaranta giorni del Mussa Dagh che riaccese i riflettori sul Genocidio armeno e che ne divenne il più emblematico racconto, sino alla pubblicazione -decenni dopo- de La Masseria delle Allodole. L’opera fu messa al rogo assieme agli altri libri ebraici, e i nazisti delirarono di un “complotto ebraico-armeno”. Non solo: Mustafa Kemal Ataturk fu uno dei modelli ispiratori del fürher; Hitler, inoltre, assieme a Mussolini rilanciò l’Islampolitik, d’intesa con il muftì di Gerusalemme al-Husseini (co-fondatore dei Fratelli Musulmani nel 1928). Il muftì in gioventù servì nell’esercito ottomano a Smirne proprio durante l’infuriare del Genocidio, presso uno dei maggiori centri di deportazione degli armeni avviati alla soluzione finale, ove peraltro era operante una cospicua presenza militare tedesca. I Quaranta giorni del Mussa Dagh -tra i testi più letti dagli ebrei reclusi nei ghetti nazisti dell’Est Europa- narrava in tedesco lo sterminio degli armeni: fu il modo in cui Werfel tentò di mettere in guardia gli ebrei austriaci e tedeschi, con preciso riferimento a una catastrofe nota negli ambienti ebraici mitteleuropei.

    Anni prima, durante il Genocidio, una gloriosa famiglia di sionisti della prima ora, tra i fondatori del futuro Stato di Israele, si schierò a favore degli armeni: i fratelli Aaron, Alex e Sarah Aaronsohn (quest’ultima morì suicida per non parlare), del gruppo NILI, spie per gli inglesi. Vi sono poi le testimonianze di alcuni diplomatici ebrei ashkenaziti (Mandelstram, Einstein e altri) a Costantinopoli, che costituiscono tutt’oggi prove irrefutabili del Genocidio commesso dai turchi ottomani -anche con complicità curde (che, però, oggi hanno ammesso le loro responsabilità e chiesto perdono). Infine, l’ambasciatore americano presso la Sublime Porta Henry Morgenthau, ebreo anch’egli, provvide alla prima e più estesa azione mondiale di salvataggio di decine di migliaia di orfani e rifugiati (per lo più armeni, assiri e greci), il Near East Relief (tutt’oggi esistente), grazie alle ingenti donazioni anche di moltissimi ebrei americani.

    La giornalista e ricercatrice turca Uzay Bulut (Ben-Gurion University, IL) documenta che uno dei triumviri responsabili del Genocidio armeno, Ahmad Djamal Pashah, orchestrò al contempo una serie di persecuzioni antisemite arabe contro i principali centri ebraici in Giudea e Galilea, con la deportazione degli ebrei locali. Alcuni riuscirono a fuggire (circa 7000) ad Alessandria d’Egitto, altri furono espulsi, altri deportati come gli armeni. Come intuì Sarah Aaronsohn, dopo gli armeni (autoctoni di quei territori) sarebbe toccato agli ebrei ritornati in Eretz Israel.

     

    DALLE DUE GUERRE A OGGI

    1.         A Costantinopoli, finita la guerra, furono celebrati alcuni processi, con delle condanne. A differenza del dopo Shoah, la maggior parte dei criminali riuscì a fuggire (spesso con l’aiuto dei tedeschi) o si riciclò. Nel frattempo, la diplomazia della neonata Repubblica di Turchia (erede della raffinata e secolare diplomazia ottomana) grazie ad Ataturk sedusse le potenze occidentali, cominciando dalla Russia comunista. Il tradimento dell’Occidente e dei russi fu totale, anche se questi ultimi concessero agli armeni la minuta e montagnosa repubblica sovietica d’Armenia, inscritta nell’URSS.

    2.         Terminata la Seconda guerra mondiale, la Turchia risultò vitale per le forze USA e NATO, divenendo il principale alleato di Israele nel Mediterraneo centro-orientale, perché unico Stato musulmano “amico”. Nel frattempo, gli armeni di Siria e Libano, per quanto in misura minore rispetto ad altre Chiese, sposarono il panarabismo e l’antisionismo. Esprimevano così la loro gratitudine al mondo arabo-islamico del Levante che, nel corso del Genocidio, sovente li soccorse e salvò. Al contempo, grazie alla narrazione panaraba sposata dai cristianesimi d’Oriente -approvata e caldeggiata da Roma fino a tempi recentissimi, per quanto concerne le Chiese cattoliche orientali-, dirottavano il risentimento e la violenza islamici verso gli ebrei e Israele, cercando così di allontanarli -spesso senza reale efficacia- il più possibile da sé. Al problema politico si sono poi saldate le millenarie liturgie antigiudaiche di tutte quelle antiche Chiese -mai riformate (il che tuttora vale anche per quelle in comunione con Roma sia nell’apparato eucologico che innografico)- con il loro pesante portato simbolico.

    3.         Nel mondo accademico occidentale, frattanto, anche due grandi intellettuali ebrei, Bernard Lewis e Guenter Lewy, pur riconoscendo gli estesi e orrendi massacri patiti dagli armeni da parte del governo dei Giovani Turchi, rovinosamente eccepirono sull’uso della parola genocidio in relazione al Metz Yeghern, avallando con la loro autorevolezza in qualche modo le posizioni di negazionismo soft sostenute furbescamente da Ankara, alleata degli Stati Uniti. Lewis lavorava per l’intelligence e poté accedere a infiniti materiali per i suoi fondamentali e ottimi studi sull’Islàm grazie agli stretti rapporti con i turchi; Lewy ottenne innumerevoli riconoscimenti in Turchia; senza contare l’afflusso costante di dollari a favore di atenei americani da parte della Repubblica di Turchia per finanziare dipartimenti e cattedre universitarie.

    4.         Parallelamente, in certi ambienti islamici -e successivamente cristiani-, iniziò a serpeggiare già dal primo dopoguerra, purtroppo con una diffusione più ampia di quanto si possa credere, una pericolosa tesi “complottista”, chiaramente antisemita, secondo cui il Genocidio Armeno sarebbe stato ordito da ebrei. Ci si riferisce ai lontani discendenti di quegli eretici sabbatiani (XVII sec) -scomunicati a più riprese dai rabbini- che aderirono all’Islàm sulla scia di Shabbetai Zvì. Costoro costituirono un esotico e disomogeneo gruppo (di cripto islamo-ebrei, con moschee-sinagoghe), noto come dönme, particolarmente nutrito a Salonicco verso la fine del XIX secolo, ove dimorava la più grande comunità ebraica dell’Impero Ottomano (poi sterminata dai nazisti) e ove nacquero, a fine ‘800, i Giovani Turchi. In virtù delle istanze modernizzatrici con cui dapprincipio costoro si accreditarono, coinvolsero sia taluni armeni (che fecero un gran brutta fine), sia degli ebrei, sia presunti dönme -de facto e de iure musulmani-. Rispetto ad alcuni esponenti dei Giovani Turchi, certuni sostengono ascendenze -remote o prossime, più o meno provate- in famiglie dönme: si va dal famigerato dott. Nazìm a Mehmet Cavit Bey, ma -ancor più- c’è chi favoleggia persino dello stesso Ataturk. Ricondurre a vere o presunte ascendenze dönme -e così collettivamente all’ebraismo e agli ebrei- il Genocidio Armeno è demente e antistorico tanto quanto ricondurre alla Chiesa moldava ortodossa, a cui apparteneva la sua famiglia prima della conversione all’Islàm, i crimini genocidari compiuti da Enver Pashah -uno dei triumviri-. S’impone però la domanda sul perché di questa tesi violentemente antisemita, circolante in Medio Oriente ma non solo. La risposta è semplice: gettare un’ombra terribile, ricorrendo al mito del complotto, sugli ebrei, minimizzando le responsabilità ottomane e islamiche, peraltro così anche giustificando il fatto -altrimenti intollerabile- che un musulmano (Ataturk) -in quanto presunto dönme– abbia “laicizzato” un Paese islamico. Va altresì sottolineato con forza che non c’è storico serio del Genocidio Armeno che sostenga siffatta tesi. Al contrario, uno dei più insigni storici armeni del Metz Yeghern, il grande V. Dadrian, attese al primo, pionieristico e puntuale studio, purtroppo non tradotto in italiano, su German Responsability in the Armenian Genocide. A Review of the Historical Evidence of German Complicity.

    5.         Caduta l’URSS, si aprì la tremenda partita (ai danni degli armeni) tra armeni e azeri (che sono sì d’etnia turca, ma sciiti) per la piccola regione contesa del Naghorno-Karabakh (o, meglio, dell’Artzakh, con l’avito nome armeno). Dagli anni ‘90 Israele ha, in funzione anti-iraniana, un fondamentale alleato strategico nell’Azerbaijan, con importanti scambi energetici e commerciali (purtroppo incluso il commercio dei droni suicidi, usati anche negli scorsi mesi dagli azeri contro gli armeni); gli armeni intrattengono, a fronte di vicini più che spaventevoli, una stretta alleanza con l’Iran (ove peraltro dimorano circa 200.000 loro correligionari), e taluni sostengono che ciò comprenda oggi anche il “nucleare iraniano” a fronte della vicina centrale nucleare di Metsamor in Armenia.

    6.         Nell’autunno del 2020, approfittando dell’inconsistenza della UE e delle organizzazioni internazionali, delle elezioni presidenziali USA e della pandemia, Erdogan, d’intesa con il presidente azero Aliyev, ha chiuso in una morsa terribile, piegandola, l’enclave armena, spogliandola di molti territori e dichiarando inquietantemente di “portare a termine l’opera dei nostri padri”. Contro l’esercito armeno, si avvaleva sul campo di miliziani dell’Isis; mentre l’azero Aliyev ha recentemente inaugurato a Baku (la capitale azera) un “parco dei trofei di guerra” con esposti gli elmetti dei soldati armeni uccisi. Erdogan, oggi leader mondiale dei Fratelli Musulmani (e dunque anche di Hamas), ha stretto un patto d’acciaio con il “cugino” Azerbaijan -sinora alleato di Israele- e siglato un accordo politico-strategico con l’Iran (arcinemico di Israele e oggi, tramite la Turchia, legato al vicino Azerbaijan sciita). I primi stritolati da questa morsa sono stati e sono gli armeni. Poi, sulla lista, ci siamo noi. Quanto resterà in piedi (e con che prezzi) di questa terrificante scacchiera, ora divenuta pericolosamente più fluida, dopo le recenti, astute, mosse di Erdogan, è da scoprire. Nel frattempo, gli Stati Uniti e l’Europa non hanno voluto riconoscere, con infamia e codardia, la creazione di uno Stato curdo (sostenuta invece con fermezza e dignità da Israele); hanno taciuto -nonostante le ridicole retoriche sui “mai più”- sulle ennesime violenze perpetrate dai turchi-azeri contro un piccolo antico popolo che già patì per mano loro un genocidio che non riconoscono da oltre cento anni; e l’amministrazione Biden, con la UE, è ora arrendevole sul “nucleare iraniano”. Questo il presente.

     

    ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

    Caro lettore, permettimi di riportarti ancora tre fatti. 1). L’Italia, che pur onorevolmente ha riconosciuto il Genocidio Armeno, è tra i fornitori di armi a Turchia e Azerbaijan, e un folto gruppo di nostri parlamentari (di tutti gli schieramenti), appena ridimensionatesi le violenze contro l’enclave armena del Karabakh, è andato a omaggiare i governanti di Baku; 2) Nel maggio 2019 arcivescovi, cardinali e accademici cattolici -tra gli altri, inclusi dei rabbini- si sono recati a un incontro di “dialogo” interreligioso e interculturale a Baku (!), salutato con plausi dall’ONU e dal suo Segretario Generale -ulteriore comprova, per quanto mi riguarda, del tragico sovvertimento di questa Istituzione-; 3) alcuni alti prelati sono stati insigniti di onorificenze azere, e l’Azerbaijan oggi finanzia, mentre abbatte le vestigia armene, il restauro di alcune catacombe di Roma da parte di Dicasteri della Santa Sede.

    Come è di solare evidenza, tenendo presente tutti questi fatti eloquenti, la spietata partita obbligata, di eccezionale complessità, che tragicamente riguarda ebrei e armeni, Armenia e Israele, non è in primo luogo una questione morale (anche se c’è una questione morale) né il problema di una percezione di sé ossessionata dalla Shoah e dalla “unicità del dolore”, come sostenuto da un intellettuale israeliano su Haaretz, prontamente tradotto e rilanciato fastidiosamente da alcuni siti italiani. Si tratta, piuttosto di un immenso, antico e ancora attuale problema di realpolitik, dove i pessimi soggetti non sono, pur con tutte le loro beghe e maneggi, né gli ebrei né gli armeni, bensì i soliti grandi attori di sempre, per interesse, per ferocia o per ignavia: ossia Turchia, Iran e, anzitutto, l’indecenza e l’inaffidabilità dell’Occidente (o di quel che per ora ne rimane). Gli ebrei e gli armeni non sono esenti da zone d’ombra nella loro lunga storia, ma certamente sono vittime: passate, presenti e potenziali. In più, i mondi armeno ed ebraico sono piccoli, quindi fatalmente più esposti a sopraffazioni. La nostra partita, tanto degli ebrei che degli armeni, consiste nello stesso imperativo morale, divenuto ancor più categorico e sacro dopo i due rispettivi genocidi: mantenersi in vita!

    Quanto accaduto lo scorso autunno nel Caucaso a grave detrimento degli armeni, è purtroppo un’amarissima e dura lezione sul “fare memoria” e sui cori dei “mai più”, tanto più inutili quanto più sentimentali e “universalistici”. Quello che abbiamo imparato, purtroppo a spese degli armeni, è che se una collettività che ha patito un genocidio non è abbastanza forte da scongiurare antichi e nuovi nemici dal riattivare prassi persecutorie e omicide, non ci sarà nessuna istituzione sovranazionale né alcuna nazione dell’Occidente post-Shoah che muoverà un dito. L’Italia, per fare un esempio, riconosce sì il Genocidio armeno, ma questo non le ha impedito di vendere armi ai turchi e agli azeri o di tacere sulle violenze degli scorsi mesi: il problema non è tanto un difetto di memoria, quanto concrete scelte geopolitiche ed economiche a immediato e lungo termine; la Curia Vaticana ha, invece, le catacombe da restaurare…

    Certamente sarebbe giusto e urgente che Israele riconosca il Genocidio Armeno, e spero che questo accada quanto prima; come pure sarebbe più che auspicabile che l’intesa con l’Azerbaijan non sia più a detrimento degli armeni. Tuttavia, perché chiedere e pretendere solo dagli ebrei (o dagli armeni) quello che, ad esempio, non si pretende né dall’Italia né dal Vaticano, sebbene non siano parti in causa e non abbiano lo stesso pressante problema strategico di sopravvivenza, ma semplicemente pensano ai loro profitti e interessi? Questo interrogativo smaschera la falsa coscienza e la malcelata avversione di molti.

    Quando delle persone, in relazione a Israele e ai nostri sofferti temi, si nobilitano con pubbliche affermazioni secondo cui “le questioni morali sono più importanti della Realpolitik”, mi domando se costoro sappiano assumere la complessità -con tutte le sue asprezze, la sua amarezza e contraddizioni-, sostandovi. Nello specifico, mi chiedo se, con altrettanta pubblica diffusione, costoro abbiano in precedenza chiesto al Parlamento dello Stato di cui sono cittadini (nel nostro caso l’Italia) di interdire la vendita delle armi italiane a turchi e azeri, e di smettere di tacitare la voce della coscienza per meri interessi economici ed energetici.

    Circa il riconoscimento del Genocidio Armeno, una posizione ebraica credibile, sobria e degna, che coniuga verità e lealtà, l’ha assunta recentemente il Rabbinato Italiano -a cui va il mio personale plauso-, che ancora una volta risulta d’ispirazione per l’UCEI e le sue rappresentanze.

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