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    La fuga degli ebrei dal mondo arabo e islamico

    La giornata de 30 novembre, che ricorda le
    persecuzioni subite dagli Ebrei nel mondo arabo e islamico è stata
    istituita  dalla Knesset  il 23 giugno 2014. La commemorazione ha
    progressivamente assunto  una importanza crescente.  Ignorato per
    decenni, l’esodo  di 850.000 ebrei dal mondo arabo è una cartina da
    tornasole per una visione equilibrata del conflitto che lacera la Regione da
    decenni e per una sua composizione pacifica. Chi facesse un viaggio nel tempo
    ad Alessandria di Egitto, al ritorno potrebbe raccontare di un mondo scomparso
    che ne rendeva il tessuto culturale ricco e variegato. Lo stesso discorso vale
    per Damasco e Bagdad, Il Cairo, Tripoli, Tunisi, Algeri, Rabat e molte altre
    importanti città del mondo arabo. Le comunità ebraiche del mondo arabo e
    islamico sono oggi solo un flebile ricordo. Eppure non molto tempo fa erano un
    elemento costitutivo della realtà e hanno dato significativi contributi in ogni
    campo, contribuendo al benessere e allo sviluppo dei loro Paesi. Lungo l’arco
    di due decenni 850.000 ebrei circa hanno forzatamente abbandonato le loro case
    e i loro averi in ogni area del mondo arabo e islamico.  Il loro fu un
    esodo silenzioso, per lungo tempo ignorato e rimosso. 

     

    Dopo la fuga degli ebrei dal mondo arabo è cominciata
    l’agonia di ciò che era rimasto della civiltà cristiana di Oriente. Sparite le
    differenze locali, le immagini negative dei «popoli vinti» e dominati
    dall’Islam sono state proiettate su Israele. In un delirio crescente Israele è
    diventato il simbolo dei mali che opprimono la civiltà araba e islamica. In
    seguito la violenza è esplosa nel cuore dell’umma, con centinaia di migliaia di
    vittime innocenti che non fanno notizia. Le  peripezie delle Comunità ebraiche
    sotto il giogo islamico sono poco note, le umiliazioni ignorate, il dolore
    invisibile.

     

     La centralità della Shoah nel dibattito sulla
    legittimità dell’esistenza di Israele ha fatto sì che la memoria delle
    sofferenze degli ebrei del mondo arabo fosse ridimensionata e derubricata 
    per lungo tempo anche agli occhi  degli israeliani. Accolti in Israele,
    come liberati o redenti, gli ebrei del mondo arabo hanno faticato prima di
    vedersi riconosciuta l’identità profonda, la cultura e la storia. Animati dalla
    speranza di una vita diversa, costretti dalle persecuzioni, risposero in massa
    a un richiamo ancestrale tenuto vivo nei testi sacri e nelle preghiere. A parte
    i più benestanti e coloro che avevano dei legami nelle metropoli europee, la
    maggioranza trovò naturale trasferirsi in Israele recando con sé semi di spezie
    e profumi da piantare per riportare in vita la terra. Gli ebrei dello Yemen
    attraversarono il deserto portando con sé i loro testi sacri. La comunità
    ebraica irakena, la cui presenza nel Paese risale ai tempi biblici, fu
    spogliata, depredata e scaricata su Israele con l’obiettivo di farne collassare
    le fragili strutture.  

     

    Nel corso della Seconda guerra mondiale, quando gli
    ebrei del mondo arabo vissero nel pericolo di uno sfondamento del fronte a nord
    e a ovest, subirono un violento pogrom. Per gli ebrei provenienti dalla Libia
    dopo due sanguinosi pogrom nel 1945 e nel 1948, cui si  aggiunse un terzo
    nel 1967, le navi erano grandi culle che restituivano gioia e speranza. Tra
    enormi difficoltà, gli ebrei del mondo arabo hanno trasformato l’esilio in
    esodo. Sono oggi parte di una nazione libera. Una minoranza importante ha
    ricostruito la sua vita in Occidente, contribuendo allo sviluppo delle loro
    nuove patri di adozione. A dispetto delle vicende dolorose da cui sono divisi,
    ebrei e musulmani, arabi e israeliani non sono condannati a essere ostili per
    sempre. C’è e deve esserci una via di uscita e se anche questa possibilità non
    è nell’immediato, non bisogna per questo negarla al futuro. Immaginando scenari
    diversi, il peso del passato e le difficoltà del presente diventano più
    sopportabili.  Non si tratta di abdicare al senso di realtà, ma di
    conservare vivo – insieme alla consapevolezza delle opportunità e dei pericoli
    che il futuro può racchiudere – il sentimento della speranza senza il quale un
    progetto di vita e di società non potrebbero darsi. 

     

    David Meghnagi è psicoanalista, presidente Comitato
    accademico europeo per la lotta all’antisemitismo. 

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